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Sono anni che il sociologo Tulio Hernández è costretto all’esilio. Le sue opinioni, analisi e tweet hanno provocato la furia del regime di Nicolás Maduro. Dopo un intervento televisivo, il successore di Hugo Chávez disse chiaramente che il noto professore universitario ed esperto di comunicazioni doveva essere arrestato perché “incitava all’odio e al colpo di Stato”. Per non rischiara di finire in galera in un Paese dove non esiste lo Stato di diritto, Hernández è andato via dal Venezuela. Ora è in Colombia, dove studia l’incredibile fenomeno della diaspora venezuelana e il flusso d’immigrati. In Colombia sono arrivati circa 650mila venezuelani in maniera legale e 1 milione senza documenti. Sebbene in Venezuela siano arrivati circa 2,5 milioni di colombiani, il flusso si era distribuito lungo 30 anni. L’80% degli “sfollati” venezuelani, invece, sono arrivati in Colombia negli ultimi due anni.

LA COMPLESSITÀ VENEZUELANA

Hernández sta scrivendo un libro con il quale spiega al pubblico straniero la complessità della crisi del Venezuela, che ha implicazioni finora trascurate dalla comunità internazionale. In un’intervista esclusiva con Formiche.net, Hernández sostiene che “non si può leggere la situazione venezuelana fuori dal quadro geopolitico internazionale, con la nascita e crescita di nuovi totalitarismi”.

Il sociologo spiega perché le prossime ore saranno decisive per la svolta democratica in Venezuela. “Può succedere qualsiasi cosa. Da mercoledì, con la rivolta dei prigionieri politici all’Helicoide (sede dell’intelligence, ndr) a Caracas, tutti gli scenari sono possibili. Chi scommette per il colpo di Stato, chi crede ancora nella via elettorale, chi spera in una rivolta popolare in piazza o nell’intervento militare straniero, tutti sono attivi in questo momento”.

PROBABILI SCENARI FUTURI

Hernández anticipa che è imprevedibile cosa potrà accadere entro domenica ma formula qualche ipotesi: “Le elezioni si svolgeranno e Nicolás Maduro uscirà vincitore, con ampio margine, per cui qualsiasi denuncia di frode sarà inutile. Non credo che il candidato Henri Falcón possa vincere, nemmeno rappresenta l’opposizione. Non credo che si registreranno proteste perché la gente ha molta paura […] In uno scenario speculativo penso che il governo festeggerà che sarà eletto per i prossimi sei anni e che potrebbe, come mossa politica, promuovere un governo di unità nazionale con i leader dell’opposizione che non sono in galera o interdetti. Restano i membri del partito Nuevo Tiempo, Copei e Mas, che percentualmente non rappresentano nessuno. Così Maduro riuscirà a prendere più tempo ancora”.

LE MILLE FRAZIONI IN VENEZUELA

Secondo Hernández, il termine “venezuelani”, in astratto, non esiste più. Esistono invece molte frazioni, sia sul fronte governativo sia sul fronte oppositore: “Il chavismo è diviso tra i maduristi che si sentono ancora chavisti e i chavisti che non vogliono più Maduro. Nell’opposizione c’è chi ancora crede nell’uscita costituzionale, chi ha perso la speranza e spera in un intervento militare, chi invece invoca l’invasione straniera o l’insurrezione popolare. C’è una gran parte della popolazione che spera qualsiasi via d’uscita o una soluzione combinata di tutte”.

IL RUOLO DI MOSCA E PECHINO

Sulla Russia e la Cina, Hernández ricorda che hanno un ruolo fondamentale in Venezuela: “Il regime venezuelano è il più grande esperimento di totalitarismo del XXI secolo. Non si è formato nella maniera tradizionale, come il fascismo, il comunismo o le dittature latinoamericane degli anni ’70. Il regime di Maduro mantiene una maschera democratica, ripete il rituale elettorale e un’economia di mercato, ma è un neo-totalitarismo del potere politico”. Inoltre, il sociologo ricorda i legami del chavismo con i terroristi delle Forza Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) e l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) così come con Al-Qaeda.

“La Cina prosegue con gli investimenti in Venezuela per garantirsi la proprietà delle riserve petrolifere in futuro  – conclude Hernández -. La Russia è interessata a mantenere un’enclave da dove operare in America latina e sviluppare il sogno di restare una potenza come l’Unione sovietica. Molti non lo vedono, ma queste alleanze circostanziali sono decisive per i Paesi occidentali. Non si può pensare alla crisi venezuelana fuori da questo quadro”.

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