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La portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders Huckabee, ha spiegato ai giornalisti che il presidente Donald Trump ha ricevuto una lettera scritta dal satrapo nordcoreano Kim Jong-un finalizzata “a seguire il loro incontro a Singapore” e “portare avanti gli impegni presi” nella dichiarazione congiunta dei leader.

Trump ne aveva fatto cenno in un tweet ieri, in cui ringraziava il dittatore di Pyongyang – che lui una volta chiamava col nomignolo “little rocket man”, qualcosa di offensivo che riguardava la sua stazza e i suoi missili, e che invece adesso è diventato “chairman”, presidente – per “aver mantenuto” la sua parola nel rimandare in patria i resti dei caduti americani durante la Guerra di Corea (del Cinquanta), che sono rientrati mercoledì e accolti alle Hawaii dal vice presidente Mike Pence. Poi Trump dice: “Io non sono affatto sorpreso di questa azione gentile. Inoltre, grazie per la tua bella lettera”, e chiude con un “attendo con impazienza di vedervi presto!”.

Il presidente americano non cambia linea e per il momento si mantiene su un livello colloquiale e aperto (notare i grassetti nel tweet, ndr), sebbene da almeno un mese circolino informazioni fatte uscire dalle intelligence su due questioni velenose che riguardano il programma nucleare. Primo, Pyongyang sta spingendo, segretamente, sull’arricchimento dell’uranio – combustibile nucleare. Secondo, immagini mostrano che sta costruendo almeno un nuovo missile balistico intercontinentale. Ossia, non sta tenendo fede a ciò che Trump diceva fosse una promessa nordcoreana, la denuclearizzazione al punto di “non rappresentare più una minaccia”, ma che invece in realtà Kim non aveva mai accettato apertamente.

Il contenuto della lettera ricevuta da Trump non è noto, se non per quel commento generico di Sanders. La tempistica forse vale di più, e altrettanto per l’aspetto comunicativo che la presidenza ha affidato alla missiva. È arrivata appena dopo che le rivelazioni stampa sul nuovo missile balistico avevano messo in discussione la capacità dissuasiva del presidente americano, effettivamente incapace di chiudere il deal che avrebbe voluto con Kim – e dalla Casa Bianca altre voci descriveva il Prez frustrato e nervoso per come stavano andando le cose.

Ma la lettera, sia negli accenni di Sanders che nel tweet di Trump passa come un segnale di ottimismo, la conferma che tutto procede bene.

La posizione molto morbida presa da Trump è qualcosa di molto simile a un altro vulnus con la sua comunità di intelligence, che invece invita a mantenere alta l’attenzione, senza sbilanciamenti – linea cauta e risoluta mantenuta invece da altre parti dell’amministrazione direttamente impegnate nel dossier, per primo da Mike Pompeo.

Il segretario di Stato è stato l’unico degli americani ad aver avuto incontri a Pyongyang sia prima che dopo il vertice di Singapore. Nell’ultimo è tornato senza nulla di fatto (se non il rientro delle salme dei militari statunitensi), e anche per questo ha testimoniato in Senato sulla necessità di non allentare la linea della “massima pressione” contro il Nord.

Sul sito specialistico che dirige, uno tra i tre massimi esperti al mondo di questioni legate a Pyongyang, Andrei Lankov, ha scritto un tragico resoconto su una serie di incontri informali e discussioni discrete e “franche” avute in queste ultime settimane con funzionari governativi, politici, esperti, analisti, inside the Beltway (è un modo di dire americano per indicare le questioni di primario interesse per il governo americano, ndr).

Lankov, un’autorità, dice molto chiaramente che rispetto a qualche mese fa adesso ha ottenuto feedback amari quanto netti: la maggioranza delle persone con cui ha parlato – tutte di alto livello – sono pessimiste nei confronti della situazione. Tutti praticamente ritengono che in realtà non si sta discutendo di denuclearizzazione, ma di controllo degli armamenti. Sarebbe una situazione complicata da raccontare a un elettore medio – e “pure a un congressista medio”, aggiunge – e per questo la Casa Bianca continua a parlare di denuke, ma la cosa “non è più considerata un obiettivo realistico” nemmeno tra le stanze dell’amministrazione.

Praticamente nessuno tra gli alti funzionari e i loro consiglieri, analisti, esperti, la ritiene possibile così come posta – in tempi e modi – dagli americani. Piuttosto si può accettare che Kim sia seduto sul trono di una potenza atomica, e chiedergli di limitare test e produzioni. Qualche giorno fa, Giulia Pompili, esperta di Asia del Foglio, segnalava durante il programma “Nessun Luogo” di Radio 24 che dopo le notizie sul nuovo missile uscite sui giornali, il Giappone stava “cercando di contattare gli ufficiali nordcoreani: la Corea del Nord ora è riconosciuta come una potenza nucleare” – e su questo pesa anche il successo ottenuto da Kim con la riqualificazione offerta dal vertice di Singapore.

Di questo non se ne parla apertamente anche per ragioni elettorali: Trump ha davanti le elezioni di metà mandato, e spiegare agli americani che il dittatore egocentrico di un piccolo Paese, fino a qualche mese fa suo obiettivo preferito per minacce militaresche, ha imposto la sua linea agli Stati Uniti, raggiungendo per altro la capacità nucleare con cui colpire il territorio americano, andrebbe completamente contro a concetti come Make America Great Again e via dicendo – secondo l’esperto di origine russa, la campagna elettorale sarà un banco di prova: se la base farà capire a Trump che è scontenta su come stanno andando le cose, allora forse lui cambierà linea, se invece la Corea del Nord non sarà una faccenda di interesse per i suoi elettori, allora continuerà a far finta che le cose stiano andando bene.

Tutti, spiega Lankov, ritengono la dichiarazione di Singapore (il cui mantenimento degli impegni presi è stato citato da Sanders tra le ragioni della lettera di Kim) sia priva di contenuti sostanziali. Convergenza anche sul perché le cose siano andate così male. Il problema principale è per la maggioranza che Trump non ascolta i suoi consiglieri – sostanzialmente coloro che hanno quella linea pessimistica – ed è andato a incontrare Kim “con poca o nessuna preparazione”: “Donald Trump, a quanto pare, ha ipotizzato che durante il suo incontro faccia a faccia con Kim Jong Un, sarebbe stato in grado di misurare il leader nordcoreano, e poi, facendo leva sul suo senso degli affari, avrebbe stimato cosa può e cosa non può essere raggiunto nel trattare con Pyongyang”.

Gli esperti ritengono anche che gli scenari internazionali stiano pesando sulla situazione: l’asse unico tra Stati Uniti e Cina, raggiunto con la firma congiunta di alcune, dure sanzioni Onu, è smottato con la lotta commerciale – di cui anche in questi giorni si seguono i riverberi, con le minacce di Trump e gli annunci di rappresaglia cinese. E poi, segnala Lankov, a Washington c’è un “grande imbarazzo” a proposito delle relazioni con Seul, dove la politica locale viaggia in frizione non aperta con quella americana.

 

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