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All’inizio di questa settimana, il capo dello SoCom, il comando del Pentagono che si occupa delle forze speciali, il generale ex Ranger Raymond Thomas, ha detto che in Siria le forze armate schierate dagli Stati Uniti per combattere il Califfato stanno subendo continuamente attacchi digitali.

A colpirci “nel più aggressivo EW (Thomas ha usato la sigla dell’Electronic Warfare, ndr) del pianeta”, spiega Thomas, “sono i nostri avversi”. Nella scelta semantica del generale c’è già l’indizio sui colpevoli: non sono i nemici, i baghdadisti – che pure hanno dimostrato di aver ottime capacità tecnologiche, ma forse più nell’ambito della creazione di video propagandistici e nell’uso delle funzionalità dell’Internet 2.0 per il reclutamento, che nell’azione attraverso sofisticati sistemi software in grado interferire con quelli americani. Thomas dice “avversari” per parlare dei russi, o degli iraniani, o delle loro emanazioni locali: contractor statali russi, milizie sciite iraniane.

Le parole di Thomas seguono un pattern: il generale non fa nomi sui responsabili degli attacchi con cui “ci mandano giù – dice – le comunicazioni ogni giorno”, disorientando le forze speciali americane che si muovono in un territorio ostile da cui le forze dello Stato islamico potrebbero emergere da ogni angolo – a maggior ragione adesso che la dimensione statuale del Califfato è venuta meno e il gruppo è rintanato in attesa di rivincita.

All’inizio di aprile alcuni funzionari del Pentagono avevano raccontato, in forma anonima (e dunque senza il peso diplomatico che le dichiarazioni di general Thomas avrebbero potuto assumere) che i piccoli droni da osservazione che usano gli specialisti americani sono continuamente mandati in tilt con sabotaggi da remoto: sono i russi, dicevano le fonti a Nbc News, e lo fanno per metterci i bastoni tra le ruote.

D’altronde Mosca ha pubblicizzato – letteralmente, anche a livello commerciale s’intende – lo schieramento in Siria dei sistemi da guerra elettronica come i nuovi Krauskha-4 o gli Zhitel, specializzati nel mandare in tilt le comunicazioni cellulari satellitari (e anche gli iraniani hanno esperienza nel campo: i soldati di Teheran nel 2011 si vantarono di aver violato il software di guida di un drone americano RQ-170 e averlo costretto all’atterraggio).

La situazione tra Stati Uniti e Russia (e Iran) è molto delicata, e la Siria è il territorio dove i due paesi si trovano a minore distanza critica coinvolti in due ambiti differenti: i primi sono impegnati in operazioni anti-terrorismo, i secondi sono la stampella che tiene in piedi il regime amico di Bashar el Assad.

Talvolta le zone di attività si sovrappongono, altre volte succede quello visto a febbraio nei pressi di Deir Ezzor – dove i russi brigano per riprendersi i campi petroliferi e riportarli completamente sotto il controllo governativo (e ci sarebbero già stipulati accordi di gestione con alcune aziende russe dei contractor) e gli americani lavorano perché da lì parte la Wilayat Furat califfale, la lingua di terra del Corridoio dell’Eufrate rimasta sotto il controllo dell’IS e dunque potenziale rifugio dei leader baghdadisti.

A febbraio un gruppo misto di contractor russi e milizie iraniane si lanciò all’assalto di una base in cui stazionavano i curdo-arabi che gli Stati Uniti stanno aiutando per liberare la Siria dall’IS: dentro c’erano anche specialisti americani, allora il Pentagono attivò il canale di comunicazione con i russi, questi risposero di non essere responsabili di ciò che stava accadendo e allora fu dato l’ordine di fuoco a una squadriglia di F-22 Raptor che distrusse il contingente russo-iraniano (Mosca ammise dozzine di vittime, specificando che però non erano soldati ma volontari partiti dalla Russia per dar sostegno ad Assad; in realtà erano contractor mandati dal Cremlino). Le comunicazioni, dunque, hanno un gran valore: mandarle giù è un esercizio pericoloso.

Nell’ambito di questa situazione delicatissima, le operazioni di guerra elettronica e informatica di cui parla Thomas sono un elemento di disturbo che può portarsi enormi conseguenze. Come spiega un’analisi della Stratfor, però, la Russia vede il territorio siriano come un “terreno di prova definitivo” delle proprie tecnologie militari, da quelle convenzionali, come missili e aerei, a quelle più sofisticate come le armi digitali.

A un certo punto del suo intervento durane il GEOINT Symposium – super-fiera annuale organizzata dalla US Geospatial Intelligence Foundation – il capo di SoCom s’è fatto sfuggire che “gli avversari” hanno sabotato anche i sistemi Gps di un EC-130, ossia (probabilmente) i russi sono riusciti a mettere fuori uso i sistemi di comunicazione e georeferenziazione di un grosso aereo statunitense da 165 milioni di dollari – gli EC-130 hanno il compito di mandare in tilt a loro volta le comunicazioni dei nemici e raccogliere dati sui bersagli: sono usati anche a supporto delle missioni a terra, e se i tool elettronici vengono disabilitati, gli aerei perdono una loro prerogativa e l’equipaggio non può più distinguere i bersagli.

In questi giorni l’amministrazione americana sta dipingendo perfettamente il quadro: da una parte c’è Washington con i suoi alleati e le sue attività, dall’altra ci sono la Russia e altri stati avversari come l’Iran che fanno in modo di sabotarle quelle attività. In un intervento su Formiche.net, il direttore del Centro Studi americani, Paolo Messa, ha tracciato la linea tra le due parti chiedendo che l’Italia eviti il “terzismo”.

Altri paesi europei si sono già mossi apertamente a proposito: due giorni fa, in Senato, il capo del Pentagono, James Mattis, ha dichiarato che gli americani resteranno in Siria (smentendo la smania per il ritiro del suo presidente), e lo faranno insieme ai francesi, che hanno inviato in queste ultime settimane altre forze speciali che lavoreranno con quelle comandate da Raymond (e dunque anche con le milizie curdo-arabe addestrate per combattere il Califfato). Francia e Stati Uniti hanno reso pubblica la loro stretta collaborazione già col raid punitivo contro Assad: la Siria, come dice Stratfor, è il terreno di prova definitivo per molte cose, non solo per le armi russe.

 

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