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Ebbene sì: la tanto temuta uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea si è avverata. La Brexit adesso è una realtà con cui tutti dobbiamo fare i conti. Non solo la direzione del PD,  non solo la grande Germania, non solo David Cameron, ma tutti quanti noi.

L’esito del referendum ha visto dopo un’alternarsi delle proiezioni l’arrivo dell’agognata conclusione inequivocabile. Charles De Gaulle avrebbe commentato questo risultato con cinismo, probabilmente chiosando la cosa con un sarcastico: perché i britannici erano nell’Unione?

Robert Schumann e Alcide De Gasperi invece forse avrebbero fatto cadere qualche lacrima. Oggi come ieri c’è chi ride e chi si dispera, come sempre nella vita.

Di là di tutto, questo giorno è memorabile e segna l’arresto dell’avventura europea. Come appariva alla vigilia ora è solo stato formalizzato il requiem di una realtà comunitaria già agonizzante, uno squillo di tromba che suona dal profondo della società.

Il fatto stesso che gli elettori britannici abbiamo optato per il Leave, sebbene i poteri forti, compreso il governo britannico, si siano sperticati a favore del Remain la dice lunga sulla portata politica, e aggiungerei democratica, di questa soluzione.

Adesso il fronte anti Unione che va da Farange, alla Le Pen, fino a Salvini hanno incassato un credito e una propulsione per la propria battaglia. Alla Brexit seguirà la Frexit e poi chissà anche un nostro passo indietro.

È certo che che la Brexit invia un messaggio dirompente, una sanzione della gente allo strapotere finanziario antidemocratico di banche, finanza e organismi centralizzati faraonici e inutili: un segnale che si presenta come una lettera ad un’Europa mai nata.

E se mai potrà riparlarsi veramente di una politica continentale, lo si potrà fare solo partendo dal basso, muovendo passi non econometrici ma concreti e aderenti alla vita e alle esigenze dei cittadini. La nostra storia viene dal comune orizzonte cristiano che nella modernità si è coagulato in comunità nazionali. La democrazia non sarebbe mai giunta nel mondo se popoli come quelli europei non avessero maturato il senso di appartenenza e di partecipazione comune ai propri destini. L’Unione Europea non può sostituirsi a questa centralità del cittadino senza diventare uno spauracchio o, peggio ancora, un incubo totalitario.

Sicuramente a subire il danno della Brexit non sono infatti le persone comuni, i ceti realmente produttivi, l’economia reale, ma gli speculatori di ogni risma e le sanguisughe burocratiche.

Perciò è importante prendere atto che non si possono creare sovranità egemoniche in laboratorio senza prosciugare le libertà vere dei popoli.

Si dovrebbe gridare, in conclusione: morta l’Europa finta, adesso si faccia l’Europa vera. E così sia.

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