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La firma del trattato per l’istituzione dell’Organizzazione Governativa Internazionale del Gcap (Gcap International Government Organization – Gigo) tra Italia, Giappone e Regno Unito consolida ulteriormente il percorso fatto dall’annuncio, esattamente un anno fa, della coalizione trilaterale tra Roma, Tokyo, e Londra per la creazione di un caccia stealth di sesta generazione, e ne certifica definitivamente la solidità a livello politico.

Questo è un passaggio chiave poiché inaugura ufficialmente la cornice politico-istituzionale all’interno della quale si svilupperà il progetto, con l’organismo cardine – la Gigo – che dovrà guidarne le varie fasi e coordinare gli attori coinvolti sul piano industriale nonché su quello militare. Questo ruolo include, ovviamente, anche limare eventuali difficoltà o visioni divergenti, dalla fase di progettazione e sperimentazione, alla suddivisione del lavoro, alla gestione delle risorse, e così via. Questo aspetto è cruciale dato che si tratta di un progetto senza precedenti, tanto ambizioso quanto complesso, in virtù della sua natura multinazionale e degli approcci – oltre che degli interessi – propri dei singoli Paesi coinvolti.

I tre Paesi hanno già stanziato fondi dedicati nell’ordine complessivo di alcuni miliardi di euro in un orizzonte di breve-medio termine (Londra e Roma attualmente pianificano di spenderne – molto ottimisticamente – rispettivamente circa 10 e 7,7 da qui al 2035) e si apprestano ora ad intensificare la cooperazione a livello industriale per poter lanciare la fase di sviluppo vera e propria nel 2025. A tal proposito è doveroso notare come l’Italia, sia a livello di industria che di forze armate, si stia muovendo velocemente nell’ambito della sensoristica e dell’elettronica avanzate che caratterizzeranno il Gcap, con importanti accordi di collaborazione tra le imprese dei tre paesi nel dominio ISANKE & ICS (Integrated Sensing And Non Kinetic Effects & Integrated Communication System) e la “Gcap Acceleration Initiative” lanciata dalla Difesa per raccogliere le migliori proposte dall’industria nazionale su diverse capacità, tra cui sistemi ottici e laser, intelligenza artificiale (AI) applicata, sistemi di propulsione, gestione di sistemi autonomi e sistemi di missione, cybersecurity e molti altri.

Nel complesso, il valore aggiunto del progetto sta nella possibilità di rinforzare la cooperazione internazionale nel campo della difesa, bilanciare costi altrimenti proibitivi per i singoli Paesi – con evidenti implicazioni per la successiva attrattività del Gcap sul mercato, e rivitalizzare l’industria nazionale della difesa nonché l’economia grazie agli effetti a cascata in termini di tecnologie avanzate, expertise e internazionalizzazione per le imprese e la comunità scientifica.

Alla luce di ciò, è sempre più evidente la forte connotazione geostrategica che assume il programma Gcap, dato che il suo impatto andrà ben oltre la dimensione della difesa, interessando tutto il sistema paese, e influenzandone altresì il posizionamento internazionale con un focus crescente sulla connessione strategica tra teatro Europeo e Indopacifico. Ciò risulta ancor più importante alla luce della crescente attenzione di paesi come la Cina alla creazione di un caccia di sesta generazione. Al contempo, la sfida per Italia, Giappone e Regno Unito, sarà quella di garantire una collaborazione efficace in tutte le fasi del progetto, assicurare le risorse necessarie (le stime attuali andranno quasi certamente riviste al rialzo) e rispettare una scadenza – il 2035 – per l’iniziale operatività certamente molto ambiziosa.

Non solo difesa, ecco il valore aggiunto del Gcap per Roma, Londra e Tokyo. L’analisi di Borsari

Di Federico Borsari

Il valore aggiunto del progetto sta nella possibilità di rinforzare la cooperazione internazionale nel campo della difesa, bilanciare costi altrimenti proibitivi per i singoli Paesi, e rivitalizzare l’industria nazionale della difesa nonché l’economia grazie agli effetti a cascata in termini di tecnologie avanzate, expertise e internazionalizzazione per le imprese e la comunità scientifica. L’analisi di Federico Borsari

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