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“Durante le ultime settimane, funzionari russi hanno condotto un addestramento in Iran come parte dell’accordo per il trasferimento di UAV (velivoli senza piloti, ndr) dall’Iran alla Russia”, ha dichiarato un funzionario statunitense alla Cnn. Il funzionario ha detto che le informazioni sull’addestramento sono state recentemente declassificate.

Da qualche settimana si parla di questa fornitura di armi da Teheran a Mosca – frutto anche di colloqui diretti avuti sia dal presidente Vladimir Putin che dal ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, durante due diversi incontri istituzionali nella capitale della Repubblica islamica. Sempre secondo la Cnn, che è stata la prima ad avere le notizie poi confermate da altri media statunitensi, una delegazione russa avrebbe visitato almeno due volte da giugno un campo d’aviazione nell’Iran centrale per esaminare droni armati.

Queste informazioni erano state già confermate a stretto giro dal consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, sebbene resti il dubbio sulle capacità tecniche produttive dell’Iran, anche perché l’alto funzionario statunitense parlava di “centinaia” di pezzi.

Teheran sta infatti provando a sviluppare un motore domestico da mettere nei propri droni, ma sta lottando con problemi di qualità e scarsi accessi al mercato (a causa delle sanzioni americane). Nel frattempo ha anche avviato una joint venture con il Tajikistan per spingere la produzione. Nella realtà, non è definito quanto sia ampia la disponibilità — e la capacità produttiva — dei velivoli senza pilota iraniani.

Secondo le informazioni riportate sulla vicenda, quando a giugno i russi sono andati in visita all’aeroporto di Khasan, a sud di Teheran, i militari iraniani avrebbero mostrato gli Shahed-191 e Shahed-129 – che secondo le ipotesi degli analisti potrebbero essere quelli oggetto della fornitura, per affidabilità ed efficacia. Entrambi i tipi di droni sono in grado di trasportare missili a guida di precisione e colmare le limitazioni degli Orlan-10 e di altri mezzi russi e la scarsa disponibilità restata in uso alle forze di Mosca.

Sia la Russia che l’Iran hanno fatto uscire dichiarazioni negando la fornitura, lasciando una zona grigia, e ricordando come i due Paesi siano allineati sulle questioni che riguardano la guerra e sull’espansione della cooperazione militare. Per esempio, martedì 9 agosto un razzo russo ha messo in orbita un satellite di sorveglianza iraniano, “Khayyam”. Il sistema sarà in grado di fornire immagini molto migliori del terreno dallo spazio di quelle che finora Teheran ha a disposizione, rappresentando una sfida significativa per Israele, gli Stati Uniti e i regni sunniti del Golfo — ossia i rivali iraniani.

Tuttavia l’aspetto interessante nell’immediato è che intanto la Russia potrebbe usarlo per acquisire informazioni da usare nella guerra in Ucraina, mentre l’Iran sostiene che il satellite sarà utilizzato solo per scopi non militari. Teheran ha anche detto che lo controllerà sin dal primo giorno, smentendo che la Russia lo guiderà sul teatro ucraino, ma potrebbe essere un’operazione narrativa necessaria perché alla platea conservatrice e nazionalista iraniana che sostiene governo e Guida Suprema non piace la dipendenza e la subordinazione da nessuno.

Questa collaborazione con Teheran, che secondo la visione del Pentagono è una delle ragioni per cui gli Usa devono mantenere salda la propria presenta in Medio Oriente, potrebbe essere direttamente utile alla Russia. Mosca sul terreno di conflitto ucraino sta spingendo, ma continua a incontrare difficoltà.

Una serie di forti esplosioni nella base militare di Saki, vicino alla città di Novofedorivka, ha scosso martedì pomeriggio la penisola di Crimea – che la Russia ha sottratto nel 2014 all’Ucraina attraverso un referendum farsa, e militarizzato piazzandovi la base della Flotta del Mar Nero. Il Ministero della Difesa russo ha confermato le esplosioni, sostenendo che è stato un incidente legato alla detonazione di un deposito di armi.

L’Ucraina ha reagito in modo schivo. Un funzionario del governo ucraino ha dichiarato che Kiev “non riconosce alcuna azione sul territorio della Federazione Russa, compresa la Crimea”. Il New York Times ha citato un alto funzionario militare che ha affermato che Kiev è dietro le esplosioni. “Il Ministero della Difesa ucraino non è in grado di stabilire la causa dell’incendio (a Zaki), ma ricorda ancora una volta le regole della sicurezza antincendio e il divieto di fumare in luoghi non specificati”, ha scritto il governo ucraino in quella che è sembrata una dichiarazione beffa.

È possibile che quanto successo sia parte dell’infowar. Da parte russa potrebbe essere anche stato un false flag per accusare Kiev di attacchi all’interno del proprio territorio e giustificare azioni successive. È forse più possibile che Saki sia finita sotto un attacco ucraino e che Kiev voglia però evitare posizioni pubbliche troppo aggressive. Un attacco riuscito contro un obiettivo militare lontano dalle linee russe, e soprattutto nella penisola di Crimea, un luogo di grande importanza per il Cremlino, sarebbe profondamente imbarazzante per Putin e probabilmente sarebbe visto da Mosca come una grave escalation.

La scorsa settimana, probabilmente con un drone ucraino (uno dei vari Bayraktar di fabbricazione turca di cui è in possesso), era già stato colpito il quartier generale della Flotta russa del Mar Nero, nella città portuale di Sebastopoli, sempre in Crimea. La Russia in quel caso aveva confermato l’attacco incolpando l’Ucraina, ma Kiev ha negato la responsabilità.

I droni – così come certi tipi di missili a lunga gittata, come quelli che potrebbero essere stati sparati a Saki – sono un elemento centrale nel conflitto. E se si parla dell’arrivo di quelli iraniani sul lato russo, su quello ucraino si discute di un’importante fornitura che potrebbe rientrare nei prossimi pacchetti di aiuti statunitensi: i droni Grey Eagle.

Un piccolo ma importante ufficio del Pentagono, che va sotto il nome di Defense Technology Security Administration, sta esaminando una sfera elettro-ottica/infrarossa prodotta da Raytheon Technologies che viene montata sul drone MQ-1C Gray Eagle. La tecnologia, nota come Multi-Spectral Targeting System (MSTS), fornisce informazioni in tempo reale, targeting e tracking ai suoi operatori. Inizialmente l’amministrazione Biden temeva che il drone e gli strumenti che portava con sé avrebbero posto troppe sfide logistiche e di addestramento all’esercito ucraino. Ma la preoccupazione maggiore, secondo tre persone che hanno familiarità con le discussioni e hanno fornito informazioni a Politico, è che la Russia possa catturare uno o più droni e rubare le tecnologie.

Il Gray Eagle, prodotto da General Atomics, è stato costruito come aggiornamento dell’MQ-1 Predator e può volare per oltre 27 ore, percorrere 2.500 miglia nautiche e trasportare missili Hellfire. Il drone è stato utilizzato nelle operazioni statunitensi in Medio Oriente e nell’Africa subsahariana. Le valutazioni sono in atto, questo tipo di velivolo senza pilota potrebbe essere un valore aggiunto per Kiev, ma la decisione del segretario alla Difesa, Lloyd Austin, non dovrebbe pronunciarsi prima di molte settimane.

C’è anche un tema politico già più volte sollevato: se l’Ucraina dovesse usare i droni per attacchi sul territorio russo, Mosca la considererebbe un’escalation diretta da parte di Washington? Anche questo c’è dietro alla cortina fumogena riguardo agli attacchi extraterritoriali di Kiev. Come dimostra la possibile fornitura iraniana alla Russia, la guerra continua ad avere ramificazioni internazionali.

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