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È sinceramente difficile dare torto ad Ernesto Galli della Loggia quando afferma che “nel nostro Paese in specie dopo la scomparsa politica dei cattolici e l’avvento di una società massicciamente secolarizzata è diventata estremante difficile l’espressione pubblica di un punto di vista che non accetti a occhi chiusi il punto di vista della cultura progressista”. L’affermazione, estrapolata da un lungo editoriale pubblicato dal Corriere della Sera, mette per l’ennesima volta in luce l’assenza nella dimensione pubblica di una chiara, motivata, riconosciuta e rispettata posizione conservatrice. Secondo quello schema bipolare (prima culturale e poi politico) che innerva la maggior parte delle democrazie occidentali e ne costituisce anche il fondamento del loro dinamismo.

Ora, la preoccupazione dello storico investe tutto il mondo conservatore italiano che peraltro, secondo una tesi largamente condivisa, è maggioritario nel privato e minoritario nel pubblico. È questo uno degli elementi essenziali della cosiddetta anomalia italiana: il solo dirsi o pensarsi conservatori può apparire un cedimento alla destra più retriva. In una parola, “fascista”. E chi, onestamente, ha voglia di ingaggiare uno scontro anche solo culturale, per farsi affibbiare l’epiteto gratuito di “fascista”?

E se ad esprimere questo timore è addirittura una solida e convinta commentatrice di sinistra come Natalia Aspesi, davvero c’è da crederci. Dalle colonne di Repubblica, infatti, dopo la bocciatura del ddl Zan, da lei stessa tacciato di irrealismo, ha voluto precisare che era stata zitta sino a quel momento per non farsi indicare come “fiancheggiatrice fascista e omofoba delle destre”. Un chiaro indicatore dello strapotere dell’opinione progressista, capace di condizionare anche i comportamenti delle proprie anime riflessive. Evidentemente condannate a un conformismo culturale e non solo.

Ma ciò che ci sta più a cuore è l’affermazione tranchant di Galli della Loggia sulla “scomparsa politica dei cattolici”. Che a guardar bene, dovrebbe preoccupare a destra quanto a sinistra. Di sicuro, se sul versante conservatore non è più sufficiente proclamarsi cattolici per guadagnare consensi, è altrettanto vero che sul fronte progressista è sufficiente dichiararsi genericamente a favore dei poveri per convincersi di aver assolto al comandamento cristiano dell’amore nella sua proiezione sociale e politica.

Ma la responsabilità sta tutta dentro il mondo cattolico, oramai malato di un’afonia a dir poco preoccupante. Un silenzio che il mondo progressista interpreta come assenso, soprattutto sui temi sociali e su quelli etici. E che il mondo conservatore pensa, inopinatamente, di interpretare con slogan identitari e privi di una reale approvazione e condivisione popolare.

E qui sta tutto il paradosso: il mondo progressista ha saputo far apparire le proprie risposte alle emergenze sociali come intimamente cristiane, mentre il mondo conservatore ha pensato di poter contare su un consenso mai cercato con l’intelligenza delle proposte, anzi spacciando la propria inclinazione securitaria come impulso solidaristico.

Ma dovrebbe essere il mondo cattolico a innervare e persino disturbare il dibattito pubblico. Invece non è solo silente, ma fa fatica a introdurre nel dibattito pubblico idee, proposte, suggerimenti e suggestioni. E anche quando ci prova, come è accaduto nella recentissima Settimana sociale di Taranto, non riesce a sfondare il soffitto di cristallo che ormai lo separa dall’opinione pubblica italiana. Tutto ciò, al netto delle dure regole dell’informazione che privilegiano ben altro, dovrebbe far riflettere i cattolici italiani. I quali sembrano aver somatizzato una sconfitta irreversibile sui grandi temi etici e antropologici, in nome di una globalizzazione del pansessualismo e della corsa senza fine dei diritti individuali. E soprattutto appaiono rassegnati al ruolo incombente di cittadini di serie B, o peggio, di minoranza da tutelare come specie protetta. Ecco il punto di approdo dell’irrilevanza culturale.

In molti attendono che ci pensi il Sinodo per l’Italia a risvegliare le coscienze cattoliche e a restituire loro una voce nel dibattito pubblico. Allo stato delle cose, è legittimo dubitarne. Soprattutto perché è la stessa vecchia Italia cattolica a non esserci più. E certamente non se ne intravvede una nuova all’orizzonte. Ma disperare non si può e non si deve. Soprattutto perché come la globalizzazione mostra le sue prime crepe vistose, non è detto che i processi di secolarizzazione siano destinati all’eternità. Non fosse altro perché la battaglia fra il bene e il male non è affatto conclusa, anzi… Questa, infatti, non è solo una seria questione etica, ma anche una grande questione culturale. Infatti, più che la scomparsa politica, dovrebbe preoccupare la scomparsa culturale dei cattolici. E la loro incapacità di pronunciare dei sì e dei no.

Cattolici, più che politica è una scomparsa culturale. L'opinione di Delle Foglie

Sembra che i cattolici abbiano somatizzato una sconfitta irreversibile sui grandi temi etici e antropologici, in nome di una globalizzazione del pansessualismo e della corsa senza fine dei diritti individuali. E così appaiono rassegnati al ruolo incombente di cittadini di serie B, o peggio, di minoranza da tutelare come specie protetta. La riflessione di Domenico Delle Foglie

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