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Strettamente connesso all’evoluzione tecnologica che ha investito l’economia contemporanea a partire dagli anni Duemila, il settore della Gig Economy, per dirla all’italiana “economia del lavoretto”, si è reso protagonista di una costante e repentina espansione la quale ha subìto una notevole accelerazione durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, fautrice di un rinnovato interesse nei confronti del lavoro reso mediante strumentazioni tecnologiche.

Sebbene quando si parli di Gig Economy il pensiero corra immediatamente alle piattaforme di food delivery quali Foodora, Deliveroo e Glovo, in realtà il mondo del lavoro tramite piattaforma digitale si rivela essere molto più variegato e multiforme. Infatti, con tale espressione si fa essenzialmente riferimento a due modelli organizzativi: il Crowdwork e il Work on Demand via App, i quali si distinguono principalmente in virtù del luogo di svolgimento della prestazione e del meccanismo attraverso il quale la stessa viene eseguita. Il primo termine riguarda attività interamente svolte sulla piattaforma online (si pensi, ad esempio, ad Amazon Mechanical Turk), la quale  mette in contatto virtualmente clienti e prestatori su scala globale attraverso l’utilizzo della rete Internet; le attività svolte attraverso le piattaforme di Crowdwork sono di diversa natura, spesso trattandosi di microtasks, attività estremamente parcellizzate e monotone, come, tra le altre, taggare foto e correggere bozze, ma non mancano attività più complesse, come, ad esempio, disegnare loghi, creare un sito, sviluppare un progetto di marketing.

Dall’altro lato il Work on Demand via App (solo per citare le piattaforme più famose, Uber e Deliveroo) consiste nello svolgimento di attività tradizionali nel mondo fisico e mediate dalla piattaforma, la quale interviene, sia selezionando la forza-lavoro, sia stabilendo gli standards da rispettare per la prestazione del servizio. Sebbene ultimamente il termine Gig Economy, in seguito alle recenti vicende giudiziarie scaturite dalle rivendicazioni di alcuni riders appartenenti alle principali piattaforme di food delivery, sollevi nei più qualche perplessità sull’effettiva portata positiva di un fenomeno di tal genere, non bisogna dimenticare come tale settore, oltre a rispondere alle esigenze di maggiore efficienza richieste dalle imprese, tragga la sua origine in primis da un cambiamento a livello sociale.

Infatti, i tradizionali modelli di lavoro, fondati su precisi limiti spaziali e temporali, non risultano più essere adatti, non solo alle esigenze delle stesse imprese, ma anche alle esigenze degli stessi lavoratori: sebbene sino a qualche decennio fa la prospettiva di un lavoro stabile, da svolgersi nel corso dell’intera carriera lavorativa, rappresentasse un obiettivo rispondente alle aspirazioni della maggior parte della forza lavoro, in tempi più recenti le esigenze di maggiore flessibilità organizzativa nonché l’aspirazione ad una formazione continua, in grado di garantire la propria crescita personale in termini di competenze, hanno acquisito sempre maggiore rilevanza nelle scelte professionali di ogni individuo.

Ecco perché è lecito sostenere che la Gig Economy, lungi dall’essere quell’imminente pericolo al pieno riconoscimento dei sacrosanti diritti dei lavoratori, possa apportare indubbi vantaggi a favore di entrambe le parti contrattuali del rapporto di lavoro: se da un lato, al lavoro tramite piattaforma va sicuramente il merito di rispondere alle esigenze di maggiore flessibilità ed efficienza avanzate dal mondo imprenditoriale, dall’altro lato giova rilevare come la stessa si riveli foriera di risvolti positivi anche a favore degli stessi lavoratori i quali, oltre a beneficiare di ulteriori opportunità lavorative, possono altresì svincolarsi dai rigidi limiti temporali, spaziali e non solo, che la tradizionale modalità di svolgimento della prestazione ha imposto a partire dall’avvento del modello fordista.

Ciò detto, è pur vero che, come qualsiasi novità degna di nota, anche il settore della Gig Economy necessita di interventi, normativi e non solo, in grado di delimitare il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, anche e soprattutto in termini di tutela della forza lavoro. Sul punto, non si può di certo dire che il legislatore italiano si sia mostrato indifferente: una prima disciplina del fenomeno è già contenuta nel D.lgs. n. 101/2019 ed iniziano ad intravedersi le prime regolamentazioni anche da parte della contrattazione collettiva, chiamata in causa dallo stesso decreto al fine di una più completa e puntuale regolamentazione della fattispecie. Siamo solo agli inizi di un fenomeno che ha già dimostrato positivamente i suoi effetti e che continuerà a farlo nel lungo periodo, coinvolgendo percentuali sempre maggiori della popolazione lavorativa: ora la parola passa alle imprese e ai lavoratori, i quali, attraverso una giusta dose di compromessi, trattative e contrattazioni collettive, potrebbero beneficiarne appieno i positivi risvolti senza correre il rischio di reciproche rivendicazioni le quali finirebbero per rendere vani gli altrettanto reciproci vantaggi prospettabili.

Gig Economy, il lavoro su piattaforma tra presente e futuro

Di Gabriele Fava

I tradizionali modelli di lavoro, fondati su precisi limiti spaziali e temporali, non risultano più essere adatti, non solo alle esigenze delle stesse imprese, ma anche alle esigenze degli stessi lavoratori. In tempi più recenti le esigenze di maggiore flessibilità organizzativa nonché l’aspirazione ad una formazione continua, hanno acquisito sempre maggiore rilevanza nelle scelte professionali di ogni individuo. L’analisi di Gabriele Fava, avvocato giuslavorista e componente del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti

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