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Se si trattasse di un film e quello di stamattina fosse l’ultimo sketch, come regista non avrei dubbi su come intitolarlo: La fine di un equivoco. Perché sì, l’incontro a Roma di Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, rispettivamente segretario e responsabile esteri della Lega, con gli europarlamentari del partito, ha messo alcuni puntini sulle i che erano forse evidenti solo agli addetti ai lavori (almeno quelli imparziali).

Come ha scritto stamattina Paolo Becchi su Libero, la Lega non è mai stata un pericolo della democrazia perché ha sempre riconosciuto i diritti individuali e di libertà. La stessa accentuazione della critica all’Unione europea, che nella foga della battaglia politica aveva preso certi toni forse esagerati, così come senza dubbio esagerato era l’eurolirismo degli avversari, non aveva significato altro che un richiamo all’Italia a fare quello che tutti gli altri Paesi, a cominciare dalla Germania, fanno da sempre: salvaguardare il proprio interesse nazionale in un’ottica comunque continentale, o per meglio dire occidentale.

Proprio quell’Occidente che a volte l’Europa stessa sembra tradire, ad esempio con i suoi rapporti acritici (almeno fino a ieri) con la Cina comunista o con l’adesione altrettanto acritica ai diktat del globalismo politically correct. “I nostri punti cardine – ha spiegato il Capitano con parole precise e inequivocabili – sono la libertà e il guardare a Occidente, agli Stati Uniti, a Israele: siamo alternativi al modello cinese e venezuelano”. E in quest’ultima puntualizzazione, è facile intuire una frecciata diretta agli ex alleati grillini.

Ma se un film finisce, le riprese di un altro, e più importante e difficile, stanno per cominciare. Si tratta ora per la Lega non di riacquistare fiducia in Europa, come qualcuno si è affrettato a dire, ma di iniziare un dialogo e dei negoziati che in verità non ci sono mai stati. Secondo quale linea si svilupperanno è stato sempre Salvini, nel punto-stampa organizzato dopo l’incontro con gli europarlamentari, a chiarirlo, annunciando un tour con Giorgetti nelle capitali europee che avrà come interlocutori anche molti governi in carica.

Il ragionamento si sviluppa nei seguenti punti:

1) Se il mondo cambia, tu non puoi restare fermo. E, soprattutto, se cambia nel senso che tu volevi, ne devi prendere atto. L’Unione europea sta sviluppando infatti le sue politiche lungo alcune linee che vanno nella direzione che la Lega si auspicava. In particolare, si è abbandonata la politica dell’austerità iscritta nell’ordoliberismo tedesco, e in genere quell’adesione acritica alla necessità di imporre condizioni capestro a chi volesse tentare la via del risanamento delle proprie finanze (vedi Grecia). Anche se in casa Lega resta il tabù del Mes, esso sembra più che altro una concessione al fronte interno radicale (penso a Claudio Borghi e Alberto Bagnai) che non il risultato di un esame critico della questione. Così come di facciata, e anche una questione (per il momento) di onore e lealtà, resta a mio avviso l’adesione in seno al Parlamento europeo al gruppo di Identity and democracy. Un’adesione che porta a commettere errori non indifferenti (vedi il voto su Lukashenko e sulle sanzioni alla Russia). E che soprattutto non può ridurre la Lega né sulle posizioni estremiste dell’Adf tedesca né ad un ruolo di testimonianza come è quello svolto in Francia da Marine Le Pen. La Lega, proprio perché vuole parlare ai ceti produttivi del Paese (come in parte al Nord già fa), ha necessità di governare.

2) D’altronde, che l’obiettivo sia quello di governare, possibilmente al più presto, lo dice anche Salvini, che con una punta di realismo ammette che oggi per governare bisogna passare per l’Europa. Con l’Europa bisogna perciò fare i conti: senza essere remissivi, e non rinunciando alla propria identità né tanto meno a fare gli interessi dell’Italia, ma dialogando e avendo buone relazioni internazionali. Il “sovranismo in un solo Paese” non esiste e non può esistere: gli stessi Stati nazionali, a cominciare dal nostro, si sono formati e hanno prosperato in un concerto internazionale di potenze.

3) La Lega ha anche necessità di allargare la propria agenda, che in passato è sembrata in più punti monotematica, e comunque non di tale ampiezza come deve essere di una forza politica che aspira a governare il Paese. È stato Giancarlo Giorgetti ad individuare uno dei temi su cui sviluppare il discorso, quello della sensibilità ambientale, “Che non c’era anni fa”, ha detto il vicesegretario leghista, ma che oggi, aggiungo io, può permettere di ricollegarsi a una antica tradizione conservatrice e liberale che affronta il tema in un’ottica diversa da quella ideologica (e catastrofistico/palingenetica) che domina a sinistra come nell’attuale maggioranza di governo europeo.

4) Last not but least, non bisogna in effetti dimenticare che certe politiche dell’Unione Europea sono oggi espressione di una ben determinata maggioranza al potere, fra l’altro per nulla coesa, soprattutto sul fronte dei popolari. È in queste e su queste contraddizioni che la Lega deve inserirsi e lavorare. Non c’è alternativa. È la politica, bellezza!

Il ritorno in Europa della Lega. Ocone racconta la fine di un equivoco

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