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Dopo Hong Kong, Taiwan. La stretta del governo cinese non si limiterà a sedare qualche protesta di piazza nel Porto Profumato, spiega a Formiche.net Zack Cooper, ricercatore dell’American Enterprise Institute (Aei). Con un passato al National Security Council (Nsc) e al Pentagono, Cooper è tra i più ascoltati esperti di Difesa e strategia militare. Uno scontro armato fra Cina e Usa oggi è difficile da immaginare, dice. Non impossibile.

Cooper, perché la Cina si è mossa proprio ora?

Perché è una finestra di opportunità perfetta. La Cina ha gestito in modo pessimo la pandemia, il mondo se ne è accorto. In questo momento, le proteste a Hong Kong rappresentano una minaccia per il Partito comunista cinese (Pcc). La pandemia e la quarantena le hanno rallentate. Date queste condizioni, e data l’impossibilità di migliorare i rapporti con l’attuale amministrazione americana, il governo cinese ha colto al volo l’occasione.

Il presidente Xi ne esce più forte?

La verità è che ancora non possiamo saperlo. La mia impressione è che lui oggi sia molto più debole di prima. Sia per il grave danno di immagine del Pcc dopo la copertura e la censura dello scoppio dell’epidemia. Sia per la drammatica crisi economica cui va incontro il Paese. L’economia è ciò che serve a Xi per mantenere il supporto del popolo intorno al partito.

E la Cina?

Come il suo leader, ne esce indebolita. In pochi notano, ad esempio, che in questo momento Pechino ha ingaggiato una lunga serie di duri confronti con gli Stati e le regioni confinanti. Ci sono decine di dispute in corso. Con l’India, con il Giappone nel Mar cinese orientale, nel Mar cinese meridionale con gli Stati del Pacifico per la trivellazione di petrolio e gas. Di solito la Cina non mantiene conflitti aperti su più fronti nello stesso momento. Quando usa il pugno duro in una regione, allenta in un’altra. Questa nuova aggressività potrebbe segnalare che si è aperta una finestra per agire. O forse che quella finestra si sta per chiudere.

Cosa preoccupa di più la Città Proibita: Taiwan o Hong Kong?

Entrambi, ma per motivi diversi. Il problema a Taiwan è che la sua popolazione ormai non si percepisce più come cinese, ma come taiwanese. La stretta di Pechino a Hong Kong ha accelerato questo trend. Se vogliono cooperare con Taiwan ed evitare un’altra escalation, devono rallentare a Hong Kong. Potrebbe essere già troppo tardi.

Il governo americano ha annunciato ripercussioni. Quali aspettarsi?

Le misure sono ancora allo studio dell’amministrazione. Mi aspetto due tipi di risposte. Un nuovo pacchetto di sanzioni individuali contro gli ufficiali del Pcc implicati in violazioni dei diritti umani a Hong Kong o nello Xinjiang, sponsorizzato dal Congresso. E poi una forte presa di posizione della Casa Bianca.

Cioè?

Non è da escludere che di qui a breve il governo americano dichiari che Taiwan non è più autonoma dalla Mainland China. Questo passo ovviamente ne innescherebbe altri. Cambierebbero le regole commerciali esattamente come nel caso di Hong Kong. Purtroppo, ci può essere l’effetto collaterale che le aziende americane abbandonino questi posti.

C’è la possibilità di uno scontro armato?

Improbabile, al momento. Non impossibile, un domani. Ora mancano gli incentivi, soprattutto da parte cinese. Il governo sa che perderebbe uno scontro armato con gli Stati Uniti. Ma l’escalation di tensioni in alcune zone fortemente militarizzate, come il Mar cinese meridionale e orientale, indica che questa ipotesi non è più da scartare a priori.

Intanto la Cina pervade la campagna elettorale come forse non era mai successo.

È in effetti molto atipica una così forte presenza della politica estera in una campagna per le presidenziali americane. Succede per due motivi. Perché la Cina è ormai senza dubbi in cima all’agenda della sicurezza nazionale. E perché il presidente crede che possa aiutarlo a vincere. In questo momento, ha dalla sua un movimento bipartisan di condanna contro Pechino. I democratici hanno paura di passare per “morbidi” nei confronti della Cina. Cercheranno di evitarlo.

Oggi Hong Kong, domani Taiwan. Cooper (Aei) spiega il piano cinese

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