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Due preti cattolici e tre ebrei ortodossi hanno denunciato il governatore e il sindaco di New York accusandoli di voler impedire le celebrazioni religiose per via del coronavirus (presupposto sottinteso: hanno invece consentito altre celebrazioni, come quelle del BlackBerry Lives Matters, il movimento sceso in strada per urlare che ormai quel “dream” di Martin Luther King deve, o dovrebbe essere già stato, realtà). Il governo francese ne ha ricevute 80 di denunce, da singoli cittadini o associazioni: domani sera il presidente Emmanuel Macron si rivolgerà alla nazione in un nuovo discorso sulla situazione – e sulla ripartenza – dopo quello storico in cui dichiarò che il Paese era “in guerra contro un nemico invisibile”. Cercherà di difendere l’operato del governo, sebbene lui ne sia penalmente non responsabile. Denunce simili a quelle arrivate a Parigi hanno colpito anche Downing Street e poi la premier-Covid-free neozelandese (un anti-lockdown l’accusa di rapimento). Tutti chiamati in giudizio dai propri cittadini, altri se aggiungeranno.

Era tutto previsto:  dopo quelle che Gramellini chiama “le settimane della strizza”, in cui le collettività si erano rifugiate attorno alle leadership (vere o percepite come tali dalla paura e dall’emergenza), si prevedeva che potesse partire il riflusso (su queste colonne ne avevano parlato sia il direttore dell’Ispi Paolo Magri, che il parlamentare Pd Filippo Sensi).

I governi sono individuati (a torto o ragione) come i responsabili della situazione, centri delle aspettative deluse. Situazioni che innescano meccanismi di competizione interna dove il potere centrale cerca di smarcarsi da quelli periferici e viceversa — in ballo c’è quella percezioni di funzionalità ed efficacia, o (in)sicurezza, che si riesce a dare (o non dare) ai cittadini. Ventilatore della sopravvivenza politica.

Al punto che in Italia è dovuto intervenire il potere giudiziario a mettere un punto tra il governo e le denunce di irresponsabilità avanzate da una regione, la Lombardia – già nella storia del virus come uno dei luoghi più martoriati al mondo. Nel caso specifico, tutto è anche il frutto di ciò che Massimo Franco in un bell’editoriale sul CorSera (“La politica debole”) definisce come il confronto tra “due sottoculture populiste, nutrite da un istinto insopprimibile a velare propri errori vedendo solo quelli degli altri”.

Ma l’Italia non è certo sola nel genere. Il punto sta nella regionalizzazione della risposta al morbo, che ha messo a nudo come in molti paesi le faglie interne siano dinamizzate (e in modo potenzialmente devastante) quanto i problemi esterni, quelli tra Stati. Questa regionalizzazione acuisce le divisioni anche mentali tra le collettività, tirate dagli amministratori locali verso il territorio, confine non solo fisico ma emotivo, politico, sociale, etnico, culturale. La California, per dirne una, è stata per una fase simbolo di best practice, ma da quando sono iniziati gli allentamenti del lockdown (la fatidica “Fase 2”) ha subito le micro-decisioni autonome delle contee.

Risultato, gli emancipati e ultra tecnologici californiani soffrono un ritorno virale alla pari dei cowboy texani o dei burberi del Kentucky e via dicendo: Arizona, New Messico, North e South Carolina, Mississippi, per dirne altri. Sono 21 gli stati americani in cui la curva dei contagi ha ripreso a salire dopo che le misure di contenimento sono state annacquate. E lo fa con una velocità mai vista finora (con un’immagine: in Arizona, la responsabile del dipartimento per i Servizi sanitari ha sollecitato gli ospedali a predisporre rapidamente piani di emergenza perché i casi di Covid-19 previsti nei giorni a venire saranno tanti, al punto da ingolfare il sistema).

Ad appesantire la situazione negli Stati Uniti c’è un altro fattore. Si teme che le manifestazioni dopo l’assassinio di George Floyd – a cui partecipano dozzine di migliaia di persone in tutto il paese – possano essere diventate nuovi focolai. La fiaccola della protesta — moto spontaneo legato a un’insofferenza che si lega ai temi dietro al fatto in sé, ma che ha chiaramente come obiettivo la presidenza Trump — ha riacceso il virus?

Il momento è cruciale, sia politicamente che epidemiologicamente, per questo diventano il caso più interessante di tutte le dinamiche che ruotano attorno al virus. Gli Stati Uniti sono in mezzo al primo picco dei contagi spiegano i virologi, sebbene abbiano già riavviato la Fase 2. Ma sono anche in piena fase elettorale. Momento in cui le parole del premier italiano Giuseppe Conte – “i virologi hanno come obiettivo soltanto l’effetto contenitivo […] noi dobbiamo affrontare le vicende nel loro complesso” – diventano anche necessità per chi vuole rimanere o tornare a governare.

L’opposizione democratica negli Usa cerca consensi e vuole sfruttare la possibilità di usare le proteste come leva favorevole per aprirsi le porte della Casa Bianca. Di là, l’amministrazione dopo aver per settimane accusato le eccessive cautele che avrebbero prodotto danni economici maggiori del virus, e per questo aver marginalizzato i virologi (dopo averli usati come forza rassicurante nella primissima fase), ora non può impedire che le persone scendano in strada a manifestare.

Sebbene siano celebrazioni contro il governo e contro lo Studio Ovale, è lo stesso presidente ad autorizzarle al fondo. Perché, quando scemeranno (e lo faranno) saranno una dimostrazione che la linea tenuta fin qui è giusta. Ossia: i cittadini americani hanno cose più importanti da fare che rinchiudersi per la paura del virus. Servirà anche quando accuse e denunce pioveranno al 1600 di Pennsylvania Avenue.

D’altronde è stata l’epidemiologa di Yale Marcella Nunez-Smith a dire che i neri americani stanno combattendo contro due piaghe, il coronavirus (sono la comunità più colpita) e il razzismo: e non possono scegliere una rispetto all’altra, dunque per lei le proteste sono legittime. La macchina va avanti, divisa ma cinetica. Le diverse comunità, le loro richieste, sono elementi di regionalizzazione sociale, che percorrono quelle linee di faglia. Nel caso dei Black Lives Matter il rischi per il fronte governativo era infatti apparire come repressivo, con la scusa virale: un problema in più che in questo momento gli esecutivi e le leadership tendono a evitarsi.

(Foto: Flickr)

Contro-leadership. Se la Fase 2 del Covid porta i cittadini contro i governi

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