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La Cina, origine del coronavirus, dopo il coronavirus. Il Cesi, Centro studi internazionali, prova a tracciare uno scenario. Partendo da un punto fermo. E cioè che a partire dalla scorsa settimana, “la Cina ha lentamente iniziato a riprendersi dall’epidemia di Covid 19 che, scoppiata lo scorso novembre, si è progressivamente diffusa e ha arrestato il gigante cinese nel corso dell’ultimo mese e mezzo”, si legge nel report.

IL PREZZO PER LA CINA

La Cina, in quanto primo Paese affetto dalla diffusione del virus, è stata anche la prima economia a subire dei contraccolpi. Nel mese di febbraio, spiega il Cesi, “il Purchasing Managers’ Index (Pmi) di Pechino sul manifatturiero, indicatore ufficiale sulla produzione rilasciato dall’Istituto Nazionale di Statistica del Paese, è crollato a 35,7 punti: il valore più basso dal 2004 per il gigante asiatico. Il rallentamento della crescita cinese sembra essere destinata a subire ulteriori contraccolpi proprio a causa della crisi sanitaria. Benché non ci siano ancora dati ufficiali, i settori di produzione industriale più in sofferenza sembrano essere l’automotive (cluster concentrato proprio nella zona di Wuhan, da cui è partito il contagio) l’hi-tech e il farmaceutico (la Cina è anche il primo produttore di principi attivi al mondo)”.

UN PAESE IN QUARANTENA

L’economia cinese ha dovuto non solo fronteggiare il virus, ma anche le durissime restrizioni ai cittadini imposte dalle autorità. “Le misure di cautela prese per cercare di contenere il contagio, quali la quarantena e il divieto agli spostamenti, hanno avuto un impatto sui settori esposti all’elasticità della domanda dei consumatori, quali il traffico aereo, il turismo, la ristorazione e, non da ultimo, la vendita al dettaglio”, spiega il Cesi.

L’impossibilità per circa 10 milioni di persone di lasciare la propria abitazione ha portato ad una stagnazione dei consumi e ha messo in difficoltà un settore, quale quello dei servizi, su cui il governo cinese stava puntando per traghettare definitivamente la Cina dall’essere la fabbrica del mondo ad ottenere lo status di economia post-industriale. Non è tutto. Il brusco rallentamento del sistema causato dall’epidemia potrebbe interessare in prima battuta la piccola e media impresa, in quanto non solo i piccoli business dispongono di minor capitale per ammortizzare i rallentamenti di breve-medio periodo (cosa che li espone sensibilmente in caso di credit crunch), ma sono anche più colpiti dalla difficoltà di reperire manodopera, rispetto ad aziende multinazionali o a guida statale.

IL DRAMMA DELLE PMI

Chi davvero rischia di più sono comunque le piccole medie imprese cinesi. E questo perché “se le grandi aziende multinazionali o le innumerevoli State-Owned Enterprises (azeinde a controllo pubblico, ndr) possono trovare facilmente o godere di priorità nella riallocazione delle forze di lavoro, per le piccole e medie imprese la ripresa delle attività potrebbe avere tempi più lunghi e spingere molti imprenditori fuori dal mercato, con ripercussioni sia sul mondo del lavoro (in termini di possibile incremento del tasso di disoccupazione) sia sulla possibilità di crescita economica del Paese”.

La questione è ben nota al governo di Pechino che “consapevole delle possibili ricadute, starebbe approntando un pacchetto di aiuti indirizzato proprio alle piccole e medie attività. Le fabbriche cinesi avrebbero lavorato a un ritmo del 60%/70% rispetto alla regolare produzione nelle ultime settimane. Ecco, dunque, degli shock dell’offerta che si sommano inevitabilmente ai già citati shock alla domanda. Ciò potrebbe portare ad un ulteriore rallentamento dell’economia nazionale. Se in chiusura dell’anno scorso le previsioni di crescita per il 2020 segnalavano già una battuta di arresto rispetto ai trend registrati negli ultimi anni (stimate in una forbice tra il 6% e il 6,4%), l’incertezza legata agli effetti dell’epidemia e ai tempi di ripresa della vita economica e istituzionale del gigante asiatico potrebbe provocare ora un’ulteriore contrazione, stimata intorno ai due punti percentuali”.

EFFETTO SPILLOVER

Di qui un effetto spillover (fenomeno per cui un’attività economica volta a beneficiare un determinato settore o una determinata area territoriale produce effetti positivi anche oltre tali ambiti), ma al contrario. Perché “la crisi suscitata dal Covid-19, del resto, difficilmente avrà effetti solo all’interno del territorio nazionale. L’interdipendenza creata dagli scambi commerciale, di cui la Cina è tra i principali alimentatori, e la centralità dell’industria cinese rispetto alle supply chain di tutto il mondo rendono la stabilità del gigante asiatico una variabile chiave per l’andamento dell’economia sia di singoli Paesi sia a livello internazionale”.

VIA DELLA SETA, ROVESCIO DELLA MEDAGLIA?

D’altronde, la Repubblica Popolare nell’ultimo decennio ha iniziato ad intessere una fitta trama di relazioni economiche e di connessioni infrastrutturali ancora in fase di implementazione, che sta permeando la regione asiatica. In questa fase di epidemia, dunque “la connettività al centro delle ambizioni di Pechino rischia di diventare una delle catene di trasmissione della crisi a livello regionale. Se la Belt and Road Initiative – l’iniziativa infrastrutturale lanciata dal Presidente Xi Jinping nel 2013 – è stata pensata per interconnettere Stati, sistemi e persone in primis all’interno del quadrante asiatico e poi lungo le due braccia che si sviluppano da est verso l’Europa, ad oggi, con il pericolo della pandemia e con la volatilità delle possibilità di contagio non solo i progetti potrebbero essere rallentati, ma la stessa connessione con gli altri Paesi nella regione potrebbe subire una battuta di arresto. La forte dipendenza economica dalla Cina sta mettendo in difficoltà molti Paesi dell’area, soprattutto tra le economie in via di sviluppo che contano su Pechino per scambi commerciali, input alla produzione e turismo”, spiega il Cesi.

DILEMMA CINESE

Una conclusione. Per poter supportare le dimensioni della propria economia e, soprattutto, raggiungere gli obiettivi di crescita qualitativa stabiliti negli ultimi documenti programmatici Pechino ha bisogno di un sistema internazionale fortemente interconnesso, all’interno del quale far riconoscere il proprio peso economico e finanziario.

Ma se un rallentamento delle performance dell’economia globale potesse essere ammortizzato nel breve periodo, il rischio di un’eventuale messa in discussione dei capisaldi della connettività e della globalizzazione potrebbe mettere a repentaglio gli interessi strategici della 7 Repubblica Popolare, non solo in termini di crescita interna, ma anche di posizionamento strategico all’interno del tanto ricercato nuovo equilibrio di pesi e contrappesi nel più ampio contesto internazionale.

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