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In un Congresso spaccato a metà, Donald Trump ha rinvigorito tutte le ambizioni spaziali americane: tornare in fretta sulla Luna e piantare per primi la bandiera su Marte. Oltre i proclami, nelle quattro frasi “spaziali” del discorso sullo stato dell’Unione c’è stato un messaggio politico piuttosto forte, rivolto direttamente al Congresso, nel pieno di un iter parlamentare che rischia di creare problemi alla Nasa in vista del ritorno sulla Luna entro il 2024. Non a caso, il numero uno della Nasa Jim Bridenstine ha rilanciato in fretta il messaggio, ringraziando prontamente il presidente per la sua “leadership”.

LE PAROLE DI TRUMP

“Nel riaffermare la nostra eredità come Nazione libera – ha detto Trump – dobbiamo ricordare che l’America è sempre stata una Nazione di frontiera; ora dobbiamo abbracciare la prossima frontiera, il destino manifesto dell’America tra le stelle”. Ne è seguito il messaggio a deputati e senatori: “Chiedo al Congresso di finanziare completamente il programma Artemis per garantire che il prossimo uomo e la prima donna sulla Luna saranno astronauti americani, usando ciò come trampolino di lancio per garantire che l’America sia la prima nazione a piantare la sua bandiera su Marte”.

IL BILL DELLA DISCORDIA

La parte politicamente più rilevante riguarda la richiesta di pieni finanziamenti per Artemis, il programma con cui l’amministrazione Trump vuole riportare gli Stati Uniti sulla Luna entro il 2024. Due settimane fa è stato infatti presentato alla commissione Scienza della Camera dei rappresentanti il Nasa Authorization Act per il 2020, disegno di legge per l’autorizzazione ai programmi dell’agenzia spaziale. È stato redatto dalla sottocommissione Spazio, e illustrato dal suo presidente Kendra Horn, democratico dell’Oklahoma. Il disegno di legge inserisce Artemis all’interno di un più ampio programma Moon to Mars, spostando in avanti di quattro anni il ritorno sulla Luna rispetto a quanto annunciato dal vice presidente Mike Pence a marzo 2019. Secondo la sottocommissione, si dovrebbe infatti puntare a mandare astronauti sulla superficie lunare entro il 2028, nell’ambito di una progettualità connessa al Pianeta rosso su cui arrivare con una missione con equipaggio entro il 2033.

DALLA LUNA A MARTE

La tabella di marcia della Nasa sarebbe così sconvolta, tanto che da subito Jim Bridenstine ha palesato la propria insoddisfazione. D’altra parte, l’impegno dell’amministrazione spaziale è attualmente tutto rivolto all’ambiziosa deadline per il programma lunare, a iniziare da un Gateway orbitante intorno al satellite naturale. Di per sè, l’idea di un progetto Moon to Mars non è nuova. Lo scorso giugno, la comunità spaziale americana fu gettata nel caos da uno strano tweet di Trump. Il presidente invitava la Nasa a essere focalizzata “sulle cose molto più grandi che stiamo facendo, inclusa Marte, di cui la Luna è parte”. Il cinguettio fu accolto con ironia, ma in realtà già inglobava l’idea di partire dal satellite naturale per raggiungere il Pianeta rosso. Fu poco dopo lo stesso Bridenstine a darne conferma: “Come ha detto il presidente, la Nasa userà la Luna per mandare astronauti su Marte”.

IL LAVORO DELLA NASA…

Il problema riguarda però i passi da intraprendere, ragion per cui Trump ha richiamato all’ordine il complesso. Nel caso in cui si affermi la tabella di marcia prevista dal bill (e soprattutto la revisione di Artemis), Bridenstine teme ripercussioni per il programma Human Landing System (Hls), relativo ai lander che permetteranno agli astronauti di scendere sulla Luna. Per accelerare i tempi, la Nasa ha puntato tutto su partenariati pubblico-privati, sviluppandone con più società al fine di studiare (con finanziamenti) diverse soluzioni per valutare in seguito quale attuare.

…E IL PROBLEMA DEI LANDER

Il risultato è che i Lander sarebbero poi di proprietà degli attori privati, elemento comunque in linea con la New Space Economy. Eppure, il disegno di legge della commissione Scienza della Camera inibisce tale modalità di lavaro, prevedendo per la Nasa la possibilità di sviluppare un unico Lander di proprietà del governo americano. Ciò, ha detto Bridenstine qualche giorno fa, “inibirebbe la nostra capacità di sviluppare un’architettura flessibile che sfrutti l’intera gamma di capacità tra governo e settore privato per raggiungere gli obiettivi nazionali”.

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