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“Sto correndo per la presidenza per sconfiggere Donald Trump e ricostruire l’America. Credo che la mia esperienza nel mondo dell’imprenditoria, governo e filantropia mi consentirà di vincere”. È chiara l’ambizione di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e magnate del mondo dei media Usa. L’ha scritta in una lettera pubblicata sul suo sito internet in cui ha messo nero su bianco la sua visione per il Paese, che porterà in dote alle primarie democratiche.

S’è autodefinito “un attivista e un risolutore di problemi, non un parlatore”. Sui siti americani sono usciti immediatamente articoli molto ricchi, informati e approfonditi, perché la candidatura era attesissima per queste ore. Da venerdì, quando la Cnn ha scritto che aveva comprato 37 milioni di dollari di spazi pubblicitari in Tv per le prossime settimane, quello che era atteso da mesi è diventato certo.

E dire che a marzo aveva dichiarato che non avrebbe corso per via delle difficoltà che avrebbe trovato nelle “affollate” primarie, ma poi è tornato sulla sua decisione perché non ha visto tra i 17 Dems in gara uno adeguato per obliterare Trump. Dettaglio tecnico comunicato dal suo capo segreteria: non correrà alle prime elezioni in programma in Iowa, New Hampshire, Nevada e Carolina del Sud. Si punta direttamente al Super Tuesday in programma il 3 marzo.

Bloomberg è il più vecchio dei big contender in lizza, tutti comunque su con l’età: lui ha 77 anni, come Joe Biden; Bernie Sanders ne ha uno in più; il presidente a caccia della rielezione con i suoi 73 anni è il più giovane. Per confronto, quando ha battuto il repubblicano John McCain, Barack Obama aveva da pochi mesi compiuto 47 anni. L’aspetto anagrafico dei contendenti è considerato un argomento di primo piano tra gli elettori secondo alcuni sondaggi – anche per questo i giovani stanno piuttosto dietro a personaggi come Peter Buttigieg (37), democratico à la page.

Popolare sindaco di New York dal 2002 al 2013, Bloomberg una volta era repubblicano, ma nel 2007 aveva lasciato il partito. Lo scorso anno s’è registrato come Democratico e ha contribuito con fior di donazioni alle campagne elettorali di metà mandato. Ha anche dato sostegno economico alle cause congressuali democratiche su due temi principali: il global warming e la lotta alla diffusione delle armi da fuoco. Temi di grosso interesse tra quella componente politica, utilizzati invece con toni ironici dai repubblicani.

“Non possiamo permetterci altri quattro anni di decisioni sconsiderate e immorali”, dice adesso per lanciare la sua candidatura, perché Trump “rappresenta una minaccia esistenziale al nostro Paese e ai nostri valori. Se fosse confermato per altri quattro anni, potremmo non riprenderci mai più dai danni che potrebbe fare”.

Se Trump ha vinto anche grazie al mantra “è un bravo imprenditore, allora sarà anche un bravo presidente”, allora Bloomberg ha molte carte dalla sua. Con un capitale stimato da Forbes intorno ai 54 miliardi di dollari, è il nono uomo più ricco del mondo. Per confronto Trump è soltanto 275esimo, con solo 3,1 miliardi. Meno di un decimo di quello che ha in mano Bloomberg: argomento già molto discusso negli Stati Uniti, perché considerato un fattore che potrebbe clamorosamente traviare la corsa per le prossime presidenziali (più soldi, più investimenti, più pubblicità, più possibilità di raccogliere voti).

Di lui come presidente si è già parlato: a gennaio del 2016 fu il New York Times a scrivere per primo che avrebbe corso come indipendente. L’articolo riportava una cifra mostruosa che Bloomberg avrebbe messo a disposizione della sua corsa elettorale, un miliardo di dollari. Meno di tre mesi dopo aveva però già mollato tutto, visto i pochi spazi per la candidatura di una terza parte.

(Foto: Twitter, @MikeBloomberg)

 

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