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In moltissimi, dalla fine della crisi politica più pazza del mondo, l’hanno paragonata all’Ohio, il piccolo Stato del Midwest americano tradizionalmente decisivo nella corsa all’elezione del presidente degli Stati Uniti. Un parallelismo forse esagerato che però rende bene l’idea di quanto sia diventata importante l’Umbria nello scenario politico del Paese. Le elezioni in programma oggi – che coinvolgono poco più di 700mila elettori chiamati ai seggi per scegliere il successore della dem Catiuscia Marini, costretta alla dimissioni lo scorso maggio per via dello scandalo che ha travolto la sanità regionale – rappresentano il primo test dalla caduta del governo gialloverde e dal varo della nuova maggioranza formata da MoVimento 5 Stelle e Pd. Due partiti da sempre contrapposti e rivali, che ora si trovano a governare insieme e persino fianco a fianco alle urne, uniti nel sostenere il candidato comune Vincenzo Bianconi in lizza con la leghista Donatella Tesei, appoggiata pure da Forza Italia e Fratelli d’Italia, per la poltrona di presidente dell’Umbria. Un voto “dall’evidente portata nazionale”, ha affermato il notista di Repubblica Stefano Folli in questa conversazione con Formiche.net. Sì, ma per quali ragioni? E con quali possibili conseguenze?

Il principale dei motivi per cui guardare a cosa sta accadendo in Umbria con particolare interesse è il risultato che riusciranno a ottenere i partiti oggi al governo del Paese. Non proprio un indicatore del l gradimento riscosso dalla maggioranza guidata da Giuseppe Conte – si tratta pur sempre di una competizione locale con tutte le peculiarità del caso – ma certo un segnale da non sottovalutare in quest’ottica, tanto più dopo la foto di Narni (qui la nostra intervista a Lorenzo Pregliasco di YouTrend) che ha immortalato insieme Luigi Di Maio, Roberto Speranza e Nicola Zingaretti. E pure il presidente del Consiglio, che ha così scelto di mettere la faccia sul voto umbro e anche, inevitabilmente, sulle sue conseguenze, positive o negative che siano. Uno scatto da cui si è tenuto lontano, invece, Matteo Renzi, sempre più battitore libero della maggioranza di governo, in campo per sostenere Vincenzo Bianconi ma non al punto di farsi vedere e fotografare insieme agli altri leader di partito.

D’altronde, l’ex premier ha più volte ribadito il suo no all’ipotesi di alleanza strutturale tra M5s e Pd alla quale lavora soprattutto Zingaretti in tandem con il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Schema di cui si discute molto pure tra i pentastellati, divisi al loro interno tra favorevoli e contrari con lo stesso Di Maio che sul tema è apparso piuttosto freddo nel corso delle sue uscite pubbliche. Molto dipenderà, ovviamente, da come andrà a finire in Umbria perché in caso di vittoria di Bianconi non ci sarebbero ostacoli a replicare questo assetto alle prossime elezioni regionali – la Calabria entro la fine del 2019, l’Emilia Romagna il 26 gennaio 2020 e poi la Campania, la Liguria, le Marche, la Puglia, la Toscana e il Veneto probabilmente la prossima primavera – mentre nell’eventualità di una sconfitta le cose si farebbero molto più complicate, con il rischio di un autentico effetto domino le cui ripercussioni potrebbero arrivare addirittura a scalfire il governo.

Anche se poi, com’è naturale che sia, incideranno pure le proporzioni di un’eventuale sconfitta perché un conto sarebbe perdere di poco, magari di misura, e tutt’altro subire una sonora bocciatura da parte degli elettori umbri. Senza dimenticare, peraltro, che dall’esito del voto in Umbria potrebbero pure dipendere gli equilibri all’interno della giunta del Lazio guidata da Zingaretti. Il quale, lo scorso settembre, indicò come sottosegretari del Pd, rispettivamente alla Cultura e allo Sviluppo economico, due ormai ex assessori regionali, Lorenza Bonaccorsi e Gian Paolo Manzella. Operazione, si disse, orchestrata con il preciso obiettivo di far entrare in giunta anche il MoVimento 5 Stelle. Da quel momento, però, nulla è accaduto – anche per via delle tensioni che attraversano sul tema gli stessi pentastellati – e a questo punto è chiaro che anche in questo senso i risultati umbri non siano del tutto irrilevanti.

Dall’altra parte, in casa centrodestra, pure Matteo Salvini si gioca moltissimo in queste elezioni. Il leader della Lega è chiamato a dimostrare di non aver perso il tocco e i consensi dopo la crisi innescata ad agosto che da deus ex machina dell’allora governo gialloverde lo ha trasformato in capo dell’opposizione. Salvini non è più a Palazzo Chigi e al Viminale e proprio per questo deve sperare in un risultato tanto più positivo per la Lega che stavolta, a differenza di altre consultazioni regionali, esprime pure la candidata alla presidenza, la senatrice Donatella Tesei. E poi strappare al centrosinistra una delle sue storiche e più importanti roccaforti – in Umbria governa da sempre, dall’istituzione delle regioni nel 1970 – sarebbe un traguardo che Salvini potrebbe spendersi anche in chiave nazionale e nelle prossime elezioni regionali. E pure nei rapporti con gli alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia che in un certo senso in queste elezioni si giocano un derby per il secondo posto. Chi si piazzerà alle spalle della Lega? Il partito di Giorgia Meloni oppure quello di Silvio Berlusconi? Un dato molto importante per stabilire gli assetti di coalizione, pure a livello nazionale. A maggio, in occasione delle elezioni europee, Fdi ottenne in Umbria lo 0,2% in più degli azzurri.

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