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Lo slovacco Miroslav Lajcak, presidente in carica dell’Osce e anche ministro degli affari esteri ed europeo del suo Paese, lancia l’allarme sulla crisi in Albania, dopo la frattura tra Capo dello Stato e premier che preclude ad un possibile scontro istituzionale.

Nel frattempo i partiti di opposizione, guidati dal Partito Democratico, hanno rifiutato di partecipare a qualsiasi elezione fino a quando Edi Rama (nella foto) non si dimetterà. Quest’ultimo, dopo che Meta ha annullato le elezioni locali, ha presentato una mozione parlamentare per sostituire il presidente della Repubblica. Sullo sfondo le telefonate scomode pubblicate dalla Bild e il rischio contagio per le piazze balcaniche, già interessate da mesi tumultuosi.

IL RISCHIO DI UNA SCINTILLA

Lajcak ha espresso viva preoccupazione per la crisi che potrebbe “bloccare il funzionamento delle istituzioni statali” e di fatto si è incanalato nel generale clima di ansia che in Europa si è innescato dopo le prime avvisaglie a Tirana. Infatti la delegazione diplomatica Ue in Albania già nei giorni precedenti aveva sottolineato che qualsiasi forma di incitamento alla violenza non era tollerabile. “L’uso di esplosivi o di qualsiasi altro oggetto progettato per provocare lesioni è del tutto inaccettabile”. E aveva fatto appello a tutte le parti per “impegnarsi in un dialogo costruttivo con urgenza per superare l’attuale situazione politica”.

Il rischio di una scintilla che inneschi una crisi incontrollata è quantomai reale e si mescola ai dossier che vedono da un lato l’Albania ad un passo dall’avviare la procedura per l’adesione all’Ue e dall’altro vicina alla strutturazione di nuove politiche energetiche legate allo sfruttamento degli idrocarburi, su cui Pechino si è già mossa con anticipo.

AL TELEFONO

Spunta anche un’intercettazione telefonica pubblicata dalla testata tedesca Bild in cui il trafficante Astrit Avdylaj parlava con un alto funzionario del Partito Socialista. Nella registrazione, la voce identificata come Avdylaj insisteva sul fatto che il suo incaricato fosse incluso nella lista dei candidati del Partito Socialista nelle elezioni del 2017. Il filo porta alle ombre che si stagliano da mesi sul governo Rama, recentemente scosso da una serie di scandali che hanno portato alle dimissioni di due ministri degli interni per sospetta collusione con la criminalità organizzata.

Il leader dell’opposizione conservatrice Basha ha detto che i ministri del governo hanno rifiutato di presentarsi dinanzi a commissioni bipartisan per essere ascoltati, e quelle commissioni “si sono rifiutate di presentare prove delle indagini che abbiamo avviato sulla collusione tra crimine organizzato e alti funzionari”.

GLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI

A preoccupare gli osservatori internazionali, proprio mentre Meta e Rama hanno preso parte assieme e senza incrociare i propri sguardi alle celebrazioni in Kosovo, sono le possibili ripercussioni in una macro area già zavorrata da tensioni ataviche. Ne hanno discusso ieri a Bruxelles lo stesso Rama e il presidente della Commissione Ue, Juncker, in prima battuta per analizzare la crisi politica a Tirana, e anche per riflettere sui riverberi ad esempio nella crisi tra Pristina e Belgrado. Ma se da un lato Bruxelles intende, parafrasando Juncker, “esportare stabilità in quell’area”, dall’altro lo stesso numero uno della Commissione uscente ha fortemente auspicato che le elezioni alla fine si tengano, “in caso contrario, ciò danneggerebbe la prospettiva europea dell’Albania”.

Rama insiste sui colloqui per l’adesione, certo che sia giunto “il momento per l’Europa di fare ciò che ci aspettiamo: riconoscere il nostro merito e dare luce verde”. Di altro avviso Basha, secondo cui i fatti di oggi ricordano le elezioni che il regime comunista tentò di organizzare nel 1990, “poco prima che cadesse, quando i suoi candidati erano il Partito Laburista dell’Albania e i suoi satelliti, come la Gioventù Comunista , Sindacati delle donne comuniste e sindacati controllati dai comunisti”. Insomma, la situazione interna è ancora complessa, mentre all’esterno e poco oltre i confini nazionali permangono condizioni contrastanti. E’sufficiente ascoltare le parole del premier premier Haradinaj (“interessati a riconciliazione con la Serbia”) per averne prova, anche perché un attimo dopo si scontrano con le questioni commerciali ancora aperte.

CRISI

Ma quali sono i legami tra le singole crisi? Al di là del merito politico di quella albanese, è evidente come la strutturazione dei singoli soggetti sul costone balcanico viva una fase di assestamento. Se il capitolo Skopje è stata affrontato dall’accordo trovato sul nuovo nome di Macedonia del nord, restano i nodi relativi alla Grande Albania, alle rivendicazioni di Tirana sulla regione greca dell’Epiro, ai rapporti controversi a Mitrovica, dove le forze di polizia kosovaro-albanesi hanno effettuato alcuni raid nei comuni a maggioranza serba, con anche l’arresto anche un diplomatico russo.

twitter@FDepalo

Tutte le ansie internazionali per la crisi in Albania

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