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È morto il presidente della Tunisia, Beji Caid Essebsi. Ricoverato da mercoledì sera dopo un malore, è deceduto giovedì all’Ospedale militare di Tunisi. Aveva 92 anni ed era stato uno dei protagonisti della politica del Paese. Già ministro dell’Interno, ministro della Difesa, ministro degli Affari esteri, presidente del Parlamento, primo ministro e infine Presidente della Repubblica.

IL RUOLO DI ESSEBSI

Essebsi aveva iniziato la sua carriera politica all’ombra del padre fondatore della moderna Tunisia, Habib Bourguiba, e poi spirito laico della complicata transizione seguita alla caduta del regime di Zine el Abdine Ben Ali. Nel 2012 Essebsi ha fondato il partito laico e progressista Nidaa Tounes (“Appello della Tunisia”), diventato prima forza politica alle elezioni legislative del 2014. Tuttavia, il presidente viene ricordato specialmente per essere stato il primo eletto democraticamente nella storia del Paese, dopo la vittoria nel confronto con il presidente uscente Moncef Marzouki nelle elezioni del 2014.

SCENARI

Con la sua morte si apre una nuova fase politica per i tunisini. Innanzitutto, ad assumere il ruolo di presidente della Repubblica ad interim è il presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, il Parlamento tunisino.  Le elezioni, previste per il 17 novembre, sono state anticipate dalla Commissione superiore indipendente per le elezioni (Isie) al 15 settembre. I candidati hanno il tempo di depositare i loro registri dal 2 al 7 agosto. Un analisi dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) approfondisce sulle ripercussioni della morte di Essebsi per il futuro politico della Tunisia, in vista del prossimo appuntamento elettorale. “La scomparsa del presidente – si legge nel focus – rischia di mettere a nudo tutte le debolezze del Paese: una difficile governabilità tra forze politiche di natura e orientamento molto diverso, alti tassi di disoccupazione uniti a una emarginazione economica e sociale di alcune parti del paese, e non ultimo il pericolo dell’islamismo armato”.

UN VOTO ANTI-SISTEMA

La morte di Essebsi aggiunge un altro elemento di instabilità ad uno scenario politico già convulso. “Come evidenziato dall’analista Stefano Torelli – si legge nel report dell’Ispi sulla Tunisia -, la coalizione di governo che oggi guida il Paese è il risultato dell’alleanza politica tra Ennahda e Nidaa Tounes, i due principali partiti tunisini (di matrice islamica moderata il primo; di ispirazione secolare il secondo). Tuttavia, lo stallo a livello decisionale causato dalle evidenti differenze ideologiche che caratterizzano i due partiti ha portato alla divisione interna del campo laico, con la fondazione a gennaio del partito Tahya Tounes (“Viva la Tunisia”), guidato dall’attuale primo ministro Youssef Chahed”. In questo scenario generale, Ennahda di Rached Ghannouchi sembra essere l’unico partito con una proposta di coesione e solidità. Secondo l’Ispi, in Tunisia prende sempre più forza l’ipotesi di un voto anti-sistema: “Il sostegno a candidati indipendenti, infatti, sembra la soluzione ideale per un Paese ancora attraversato da una crisi economica diffusa e le cui riforme apportate dallo stato per migliorarne le condizioni economiche e sociali sono considerate ancora insufficienti”. Gli ultimi sondaggi favoriscono il candidato Nabil Karoui, magnate delle comunicazioni in Tunisia, seguito dal costituzionalista Kaïs Saïed e dal presidente del Partito Dusturiano Libero, Abir Moussi.

IL CROLLO DEL TURISMO

La crisi economica ha segnato gli ultimi anni dei tunisini. Dopo gli attentati terroristici del 2015, il turismo è crollato, colpendo particolarmente l’economia. Per l’Ispi molte delle tensioni sociali nel Paese sono legate all’alto tasso di disoccupazione, circa il 15,5%, e il 40% quella giovanile: “Pur riconoscendo una parziale ripresa a partire dal 2016, gli ultimi dati relativi al turismo evidenziano un trend di progressiva diminuzione in termini di incidenza del settore nell’economia del paese, sceso dal 6% del Pil nel 2010 al 4% nel 2018”. Restano i disagi sulle infrastrutture turistiche, la dipendenza dal mercato europeo e la limitata diversificazione dell’offerta degli operatori turistici. Inoltre, si è registrato anche un rallentamento nella produzione industriale per mancanza di investimenti e riforme delle normative, così come un calo nella produzione agricola e negli investimenti stranieri. Il tutto aggravato da un alto tasso di inflazione, che è condannato a crescere ancora. Tra le misure in cantiere indicate dal report, c’è in programma una riduzione degli stipendi pubblici, il cui peso sul Pil dovrebbe passare dall’attuale 14% al 12,5%: “Questa iniziativa, tuttavia, qualora venisse intrapresa in assenza di programmi di sviluppo di lungo termine, potrebbe esasperare ulteriormente un clima di tensione interna che rischierebbe di degenerare, con gravi conseguenze sulla stabilità del paese”.

LA MINACCIA DEL TERRORISMO

Infine, per la Tunisia resta il flagello della minaccia jihadista. Lo studio ricorda che lo scorso mese si sono registrati due attacchi terroristici nella città di Tunisi: “L’attentato, rivendicato in serata dal sedicente Stato Islamico, aveva portato alla morte di un poliziotto e al ferimento di altri 8 persone. Nel 2015 la Tunisia era stata investita da un’ondata di violenza, quando due attacchi separati avevano colpito note località turistiche del paese quali il Museo nazionale del Bardo a Tunisi e la spiaggia del RIU Imperial Marhaba hotel a Sousse. Tra le 60 vittime complessive, trovarono la morte anche 4 italiani”.

Federica Zoja ha spiegato in una recente analisi che “lo spettro del fondamentalismo armato minaccia la fragile democrazia tunisina da più direttrici. Da un lato, milizie locali trovano rifugio nelle aree montuose al confine con l’Algeria. Dall’altro, la Tunisia è uno dei principali luoghi di origine di foreign fighters che sono andati a combattere non solo in Iraq e Siria ma anche in Libia”. Si stima che tra 5000 e 8000 i miliziani tunisini siano arrivati a ricoprire ruoli di rilievo anche all’interno della gerarchia politico-militare dello Stato Islamico. Il probabile rientro in patria – si legge nel testo – “ha chiaramente destato grande preoccupazione tra le autorità tunisine, poiché l’indiscussa esperienza acquisita sul campo e l’autorevolezza guadagnata nel circuito radicale aumenterebbero considerevolmente la capacità organizzativa e di propaganda di queste cellule in Tunisia”.

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