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La trasformazione dell’indagine sulle possibili interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane del 2016, condotta dal ministro della Giustizia William Barr, in un’inchiesta penale “è uno sbocco logico”.
A crederlo è il politologo Aldo Giannuli, in passato molto vicino al Movimento 5 Stelle, oggi attento osservatore degli equilibri di governo. In una conversazione con Formiche.net il docente e saggista – tra i massimi esperti di servizi segreti, in passato e tutt’ora consulente di diverse Procure della Repubblica e di Commissioni di inchiesta parlamentare – analizza le mosse del presidente del Consiglio Giuseppe Conte prima e dopo la conferenza stampa dopo l’audizione al Copasir e spiega perché non c’è nulla di sbagliato nella cooperazione tra alleati. Anche se…

Professor Giannuli, Il dipartimento di Giustizia americano ha trasformato la revisione amministrativa dell’indagine sulle possibili interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016, condotta dal ministro William Barr, in un’inchiesta penale. Che cosa ne pensa?

Il fatto che sia diventato materiale per inchiesta penale ci sta. Direi che era molto evidente sin dal principio e dal motivo della visita di Barr. Anzi, potrei dire che mi sembra uno sbocco logico.

A questo punto il report annunciato da Barr ha ancora senso?

Naturalmente no. Ora tutti gli occhi saranno puntati sull’inchiesta vera e propria.

Cambia qualcosa per l’Italia?

Non necessariamente. Bisognerà naturalmente aspettare per capire su che cosa si stanno concentrando le indagini. Anche se alcuni aspetti bizzarri ma comprensibili sono già emersi e riguardano gli Usa e non l’Italia.

A che cosa si riferisce?

Nella sua conferenza stampa, Conte ha spiegato che Barr è venuto a Roma non per conoscere dettagli sull’operato della nostra intelligence, ma su agenti americani di stanza nella Capitale. Questo segnala bene non solo come le tensioni tra amministrazione Trump con Cia e Fbi siano forti, ma anche che ormai oltreoceano ci si trova nel pieno dela campagna elettorale. E, per questo, penso che il presidente del Consiglio abbia commesso una leggerezza nel consentire quegli incontri.

Perché pensa sia stata una leggerezza?

Perché, forse per inesperienza, forse perché si trovava in imbarazzo per la ricerca americana di cose che riguardavano fatti forse avvenuti durante il governo guidato dagli attuali alleati del Pd, ha preferito gestire le cose in questo modo. Lo ha fatto a mio parere per metterci una pezza, ma si sa: a volte le toppe sono peggio del buco.

Che cosa doveva fare Conte?

Premesso che la collaborazione tra servizi di intelligence di Paesi amici non è reato, anzi dovrebbe essere la normalità, Conte doveva raccogliere l’istanza americana e dire a Washington di fare una richiesta di rogatoria.

Anche in caso di indagini preliminari, come quelle portate avanti sinora?

Visto che si trattava ancora di indagini preliminari, poteva ricondurre tutto al rapporto ordinario tra servizi, senza avallare incontri tra il ministro della Giustizia Usa – che tra l’altro nell’ordinamento americano può anche promuovere l’azione penale – e i nostri 007. Anche perché, qui penso in ottica americana, prove raccolte in questo modo – se ci sono state, ma su questo ci sono versioni contrastanti – sono facilmente annullabili da parte della difesa. E credo che diffilmente qualsiasi servizio di intelligence possa rendere note le sue fonti. Tuttavia quello di Conte è stato un errore di metodo, che si sta particolarmente gonfiando perché è diventato un tema di scontro politico. Ma non siamo di fronte a qualcosa di enorme. Credo che sia potenzialmente molto più grave quanto è accaduto al Metropol, sul quale spero ci sia anche una iniziativa parlamentare.

Vi spiego i peccati (veniali) di Conte sul Russiagate. Parla Giannuli

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