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Toh, chi si rivede: il Mezzogiorno. O meglio: quella “questione meridionale” che è stata il cruccio delle classi dirigenti dell’Italia unita, almeno dai tempi della famosa inchiesta sulla Sicilia, commissionata dal governo a Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino nel 1876. Alla “questione”, cioè alla presa d’ atto delle profonde differenze economico-sociali fra le due Italie, si è poi sempre accompagnato il cosiddetto “meridionalismo”, cioè l’azione specifica e concreta per favorire la crescita del Sud, e il recupero del divario con il Nord, attraverso la elaborazione e la realizzazione di politiche attive.

Nel secondo dopoguerra soprattutto, sotto l’impulso di gruppi intellettuali ferventi che attraversavano tutti i partiti, si sono realizzati interventi politici straordinari che, alla prova dei fatti, nonostante i nobili intenti, non hanno realizzato, nonostante le ingenti risorse impegnate, mutamenti strutturali nell’economia e nella società meridionali. Non solo: quegli interventi sono sfociati spesso nella corruzione. Fu proprio quel meridionalismo (penso a Francesco Compagna) che legò le sorti del Mezzogiorno d’Italia all’Europa: solo la nostra adesione a quella che si chiamava allora Comunità Economica Europea (Cee) avrebbe permesso all’Italia di portare a soluzione un problema che da sola in un secolo non era riuscita a risolvere. Ora questa impostazione europeistico/ meridionalistica ritorna con il premier Giuseppe Conte, che ieri, al primo incontro come presidente del consiglio del governo giallo-rosso con le massime cariche europee, ha parlato e iniziato a illustrare un Piano per il Sud che sarà parte integrante e significativa del Patto con l’Europa proposto a Bruxelles.

In verità, quello di Conte può essere giudicato un chiodo fisso: già quando era presidente del Consiglio con la maggioranza giallo-verde lo aveva proposto senza successo. Andrà diversamente con la nuova maggioranza? Sarà questa l’occasione storica per vincere quella che ha definito la “sfida decisiva” per l’Italia? Chi scrive, pur apprezzando l’impegno profuso dal premier, nutre al riguardo molte perplessità. Soprattutto per due collegati ordini di motivi. Prima di tutto perché è lecito dubitare dei piani e di quella che un tempo si chiamava “programmazione”: l’economia viva e prospera in un regime di libera concorrenza e non all’ombra di sovrastrutture burocratiche e legislative: poche regole ma rispettate; poi perché non è questa la maggioranza giusta, almeno sulla carta, per realizzare politiche non assistenzialistiche (Beppe Provenzano, il titolare del neocostituito ministero per il Mezzogiorno, che conosco come persona preparata e appassionata, è fra l’altro un rigoroso “socialista” d’antan!).

Chi scrive non ha mai creduto che liberalizzazioni e privatizzazioni siano la panacea di tutti i mali, ricette infallibili valide sempre e comunque (ed è persino disposto ad ammettere che, in un primissimo periodo, nel secondo dopoguerra, l’intervento straordinario per il Mezzogiorno ha sortito effettivi positivi). Pur tuttavia non è di assistenza che oggi i meridionali hanno bisogno. A parte le infrastrutture, di cui il Sud ha necessariamente bisogno, e su cui giustamente Conte insiste, il problema del Mezzogiorno si risolve prima di tutto a livello culturale. Il Sud non deve aspettare o pretendere da altri l’aiuto che non trova in sé, e deve farlo prima di tutto favorendo un cambio generale di mentalità fra i suoi abitanti che devono imparare a non più chiedere alla politica quello che essa non può dare. Ciò taglierebbe alla radice anche molta della corruzione che prolifera all’incrocio fra certa politica e la delinquenza organizzata. La politica dovrebbe limitarsi a costruire e garantire una cornice per la libera azione e imprenditorialità dei singoli, dovrebbe liberare e non comprimere le tante energie positive che anche nel Meridione non mancano. Fra l’altro, le “azioni positive” sulla lunga distanza possono essere molto diseducative. Sarà in grado Conte di dare la giusta direzione non assistenzialistica alla sua giusta passione per la “questione meridionale”. Le condizioni politiche non sono favorevoli, come dicevo, ma conviene sperare che l’uomo che già tanto ha sorpreso gli italiani, continui a farlo anche su questo terreno. Non abbiamo altre speranze!

Piano per il Sud? Andiamoci piano. Il dubbio (culturale) di Ocone

Toh, chi si rivede: il Mezzogiorno. O meglio: quella “questione meridionale” che è stata il cruccio delle classi dirigenti dell’Italia unita, almeno dai tempi della famosa inchiesta sulla Sicilia, commissionata dal governo a Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino nel 1876. Alla “questione”, cioè alla presa d’ atto delle profonde differenze economico-sociali fra le due Italie, si è poi sempre accompagnato…

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