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Perché Moody’s declassa l’economia turca? Davvero c’è solo un mero pregiudizio, come sostiene il genero di Erdogan, ministro dell’economia, quindi in potenziale conflitto di interessi nel suo governo in guerra totale contro il mondo?

Da più parti definito in lenta combustione, il sistema finanziario eterodiretto dai desiderata del presidente Recep Tayyip Erdoğan ha prodotto un calo del 40% della lira turca in 24 mesi, il crollo delle riserve in valuta estera e le tensioni degli investitori stranieri sempre più propensi ad immaginare a questo punto una exit strategy. Si calcola che se le cose dovessero precipitare sarebbero necessari fino a 90 miliardi di dollari per evitare il crack.

QUI ANKARA

Il governo di Ankara, dopo aver attaccato Bloomberg per un articolo dell’agosto scorso, accusa Moody’s di pregiudizio e osserva: “L’agenzia ha deciso di ridurre il rating della Turchia in conflitto con gli indicatori fondamentali dell’economia turca e getta ombre sulla neutralità e obiettività delle valutazioni dell’agenzia”, ha cinguettato il ministero delle finanze. Di fatto segue la traccia imboccata la scorsa estate con la lira turca in caduta libera e il principale braccio economico del governo che continuava a gettare acqua sul fuoco (principalmente perché il ministro dell’economia è il genero di Erdogan, il 41enne Berat Albayrach) nonostante le passività in valuta delle società toccassero 337 miliardi di dollari e un deficit di 217,3.

Il ministero ha detto che è “triste” che la società di rating abbia ignorato gli sviluppi turchi, incluso il programma di strategia di riforma giudiziaria (al netto delle migliaia di cittadini, giornalisti e magistrati arrestati e processati dopo il golpe), il completamento della ricapitalizzazione degli istituti di credito statale, una tendenza alla decelerazione dell’inflazione e un aumento del reddito derivante dal comparto turistico.

MERCATI

“Dal 2003, la principale politica economica della Turchia è stata quella di seguire i principi del libero mercato” ha osservato il ministro, precisando che il Paese “non abbandonerà mai” una valuta fluttuante, il libero flusso di capitali e il suo sostegno all’imprenditoria. Ma Moody’s ha declassato il rating a causa del fatto che il debito del paese è pari a 2,6 volte le sue riserve, ponendo Ankara alla stregua di Uzbekistan, Giordania e Grecia ma con la doppia spada di Damocle dei capitali esteri e della assoluta instabilità internazionale. Come già osservato da queste colonne, le esposizioni delle banche straniere rappresentano un motivo di oggettiva preoccupazione: in cima alla classifica quelle spagnole con 83 miliardi di dollari, quarte le italiane con 17 miliardi.

CRISI APERTE

In secondo luogo da un lato si staglia come un macigno il dossier difesa, con il conflitto tra gli F-35 Usa e il sistema S-400 russo che immette nel sistema ulteriore instabilità e dall’altro il dossier energetico con la crisi a Cipro, dove la Turchia è incorsa nelle condanne unanimi (Ue in primis) per gli annunci di provocazioni illegali nella Zona economica esclusiva cipriota. E’la ragione per cui Moody’s scrive che i buffer delle riserve valutarie sono deboli e si aspetta che si indeboliscano ulteriormente nei prossimi due anni rispetto alle passività a breve termine.

Ma c’è un altro aspetto che va pesato come significativo nell’economia complessiva del provvedimento: ben prima che le autorità turche avessero annullato le elezioni amministrative di Istanbul, il governo aveva continuato ad immettere altri miliardi per sostenere la valuta che zavorrava il paese così come fatto negli ultimi dodici mesi, togliendo sicurezza agli investitori timorosi per le mosse del governo non dettate dall’alfabeto finanziario ma frutto di decisioni del Presidente che, come dimostrano i numeri dall’agosto 2018 ad oggi, sono state di matrice soggettiva e non scientifica.

SCENARI

Ancora una volta le policies del governo di Ankara sembrano guidate da un appuntamento elettorale e dall’esigenza di Erdogan di raggiungere e superare il proprio personale ventennio al potere (dopo il sangue di Gezi Park), ma con la differenza che stavolta la spesa ingente e senza controllo potrebbe aumentare la probabilità di un collasso, con potenziali conseguenze che vadano ben oltre la Turchia.

Quattro i principali versanti su cui si sta accendendo il focus degli analisti: quello bancario, con gli istituti europei che possiedono svariati miliardi di debito turco; quello geopolitico con il ruolo turco di player a cavallo tra due quadranti significativi (come quello euromediterraneo e quello mediorientale); quello dei rapporti che Ankara coltiva con Mosca e Teheran in ottica Cina/Usa; quello energetico con i lavori per il Turkish stream e la nuova centrale nucleare ad Antalyya realizzata da Rosatom.

twitter@FDepalo

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