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Il ritorno sulla scena di Paolo Gentiloni, ad un anno esatto dalle elezioni politiche che hanno segnato il più clamoroso degli insuccessi per il Partito Democratico e hanno posto le basi per una radicale svolta di governo, può essere letto in diversi modi. Perché il nuovo segretario Nicola Zingaretti, uscito vincitore alle primarie di domenica scorsa con un ampio vantaggio sugli sfidanti, e la cui elezione è stata letta come la definitiva uscita dal renzismo e dal postrenzismo, ha sentito l’esigenza di chiamare subito accanto a sé, come presidente e come “ambasciatore all’estero”, il più fedele dopo tutto degli uomini gravitanti attorno al vecchio segretario?

È una mossa per ricompattare il partito e allontanare una eventuale uscita dei renziani, o c’è dell’altro? La seconda risposta è sicuramente la più convincente e aiuta anche a capire che tipo di forza politica sarà quella che metterà su il nuovo segretario: un partito “gentiloniano” come stile, uso della comunicazione, ma forse anche sostanza: un partito riformista nel senso liberal del termine, ma con la moderazione e il passo felpato. Ancora: un partito “romanocentrico”, lontano dalle periferie, anche mentali, del Paese. Un partito che userà la rete in modo molto cauto e prudente, ma che godrà dell’appoggio incondizionato del tradizionale mondo intellettuale e dello spettacolo (quanti vip “de sinistra” si sono già rivisti in campo domenica scorsa!).

Un partito “europeista” pronto a far convergere, in maniera acritica, gli interessi dell’Italia con quelli del blocco di potere forte europeo, ammesso e non concesso che esso resista alle convulsioni del prossimo 26 maggio. Sicuramente sarà un partito comprensivo e inclusivo anche a sinistra, a differenza di quello di Renzi, ma chi pensa che il nuovo segretario possa dare una svolta in quel senso forse presto si ricrederà.

Zingaretti in questo momento gode di molta attenzione e anche curiosità e simpatia, come è normale che sia per chi si affaccia alla scena più importante della politica. I media, da sempre molto orientati a sinistra, stanno dando molto spazio, forse troppo, alle sue prime mosse. Le quali si stagliano in un panorama politico che vede, da una parte, il governo in preda alle contraddizioni di un “contratto” fra due forze troppo diverse fra loro, e, dall’altra, la battaglia per le europee che comincia a scaldare i propri motori. Il problema però è capire se sul medio periodo Zingaretti possa avere qualche chance, oltre a quelle che gli offriranno le incongruenze e gli errori degli avversari.

La sua scommessa, alla luce soprattutto dell’entente cordiale con Gentiloni, mi sembra che sia quella di puntare sull’usato sicuro: aspettare che il governo imploda e ripresentare, come nulla fosse, l’alternativa di un Pd poco rinnovato nelle classi dirigenti ma soprattutto nelle idee portanti. Credo che la realtà, che nel frattempo corre veloce avanti, presto provvederà a smentire l’illusione della possibilità di un “ritorno al passato”.

Dal renzismo al gentilonismo moderato. Vi racconto il nuovo Pd di Zingaretti

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