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Aderire al progetto britannico o aggregarsi (per ora senza invito) al programma franco tedesco? Questo è il dilemma. Un nodo da sciogliere subito per il nostro Paese, visto che in gioco sembra esserci il futuro di un intero comparto industriale. È il segnale d’urgenza che arriva dall’ultimo studio dell’Istituto affari internazionali (Iai), “Europe and the Future combat air system”, curato dal consigliere scientifico Michele Nones e dal responsabile del programma Difesa Alessandro Marrone, presentato oggi insieme al vice presidente Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa. Il report, realizzato con il sostegno di Leonardo, chiama il Paese ha una decisione in tempi rapidi.

LE AMBIZIONI FRANCESI…

A fare la prima mossa nel Vecchio continente sul caccia di sesta generazione sono state Francia e Germania, con una prima intesa tra Emmanuel Macron e Angela Merkel già nel luglio del 2017. Poi, l’aprile successivo, è arrivata l’unione di intenti tra la francese Dassault e il colosso franco-tedesco Airbus, fino all’assegnazione da parte della Difesa di Parigi del primo contratto solo poche settimane fa: 65 milioni di euro alle due aziende per la definizione dell’architettura generale e dell’organizzazione industriale del velivolo di nuova generazione, destinato a sostituire i Rafale ed Eurofighter. Ancora prima, a dicembre, ha fatto richiesta di aderire al progetto anche la Spagna, spiegando tale decisione con la chiamata in causa dell’interesse nazionale. Industrialmente, si legge nello studio dello Iai, “la scelta francese è guidata principalmente dal concetto di autonomia strategica”, con l’obiettivo di “mantenere una capacità di system-integrator per i velivoli da combattimento”.

…E LE DIFFICOLTÀ TEDESCHE

Il progetto dei transalpini su eventuali allargamenti ad altri Paesi non lascia molti dubbi: “La cooperazione viene allargata solo a seguito della definizione della architettura generale del progetto, dei requisiti comuni e delle partecipazioni industriali”. Meno rigida la linea della Germania. “L’industria della difesa nazionale – spiegano gli esperti dello Iai – si è espressamente dichiarata favorevole al progetto franco-tedesco di sviluppare il Fcas come un sistema europeo, dal momento che identifica la necessità di una stretta collaborazione tra Berlino e Parigi, così come di una progressiva apertura verso altri Paesi europei quali Regno Unito, Spagna e Svezia”. D’altra parte, il ragionamento tedesco sull’Fcas potrebbe essere complicato in ambito politico, data l’esigenza per Berlino di bilanciare adeguatamente “l’autonomia strategica europea e l'(inter)-dipendenza transatlantica”. Se si considerano anche le differenze di vedute sull’export militare (qui un approfondimento), c’è la possibilità che l’asse franco-tedesco non sia così solido come sembra. Eppure, l’intesa sul caccia del futuro viene interpretata “di elevata importanza politica, militare e industriale” da entrambi i Paesi, ragion per cui dal prossimo salone parigino di Le Bourget (a giugno) si attende “la concessione dei contratti a Dassault e Safran per il design e la costruzione dei dimostratori tecnologici per il Fcas e per il suo motore”.

IL TEMPEST BRITANNICO

La risposta britannica all’asse franco-tedesco non si è fatta attendere. Lo scorso luglio, al salone di Farnborough, è stato svelato il progetto tutto Uk del Tempest, con tanto di annuncio di un investimento da due miliardi di sterline fino al 2025, destinati a un consorzio industriale già definito, con BAE Systems, Rolls Royce, Leonardo MW (la costola britannica della One Company di piazza Monte Grappa) e MBDA. Eppure, la porta è aperta ad altri Paesi. “Dovendosi confrontare con l’alternativa franco-tedesca”, spiega lo Iai nello studio, “Londra sta cercando partner dentro e fuori l’Europa, a cominciare dalla Svezia e dall’Italia, con un occhio anche a Paesi Bassi e Giappone”. In questo senso, la tabella di marcia è ambiziosa: “Entro metà 2019 è programmata una prima valutazione delle opzioni di collaborazione internazionale; entro fine 2020 avrà luogo la decisione sui partner; entro il 2025 saranno adottate le decisioni finali sul livello di investimento”. L’obiettivo è avere un velivolo operativo nel 2035, pronto a sostituire gli Eurofighter e a volare insieme agli F-35.

LE ESIGENZE ITALIANE

In questo contesto si inserisce l’Italia con le proprie esigenze operative e industriali. Sul piano militare, “il nocciolo della questione è come rimpiazzare gradualmente, a partire all’incirca dal 2040, i 96 Eurofighter che termineranno in quel periodo la loro vita operativa”. Sul piano industriale, si tratta di prendere una posizione nella partita che definirà il futuro assetto dell’industria europea della Difesa. Che si arrivi a una convergenza tra i due progetti attualmente in ballo (come sospettano in molti) è possibile, ma attualmente sembra avere una rilevanza marginale sulla necessità che il nostro Paese prenda una decisione sull’argomento. Di sicuro, infatti, nel medio periodo andranno avanti entrambi, hanno notato gli esperti, e se più avanti si dovesse trovare un’integrazione pan-europea, saranno i protagonisti dei due programmi attuali a definirne la direzione. Da qui una convinzione: “A Roma toccherà scegliere quanto prima il progetto a cui aderire; una decisione tempestiva è fondamentale per permettere all’Italia di influenzare le fasi iniziali, e cruciali, del progetto cooperativo Fcas”.

QUATTRO FATTORI PER LA SCELTA DI ROMA…

Per suggerire una scelta, lo studio dello Iai offre una valutazione su otto fattori. Considerando “la convergenza tra le rispettive flotte di velivoli da combattimento”, l’Italia sarebbe portata a scegliere il Tempest, data la condivisione con il Regno Unito delle esperienze su Tornado, Eurofighter ed F-35, cosa che non c’è con la Francia. Lo stesso si può dire circa il secondo fattore: “la familiarità con i velivoli di quinta generazione”, visto che Italia e UK sono “i soli Paesi europei ad avere accesso” al Joint Strike Fighter. Anche per il “margine di manovra industriale” (terzo fattore), la bilancia pende verso il Tempest, vista la partecipazione di Leonardo MW al progetto britannico che, si legge nello studio, “agevola una crescente partecipazione industriale italiana negli stadi successivi”. Poi, considerando “l’adattamento di medio-lungo periodo”, il nostro Paese potrebbe avere maggiori capacità di pressione nel caso di una prossima soluzione pan-europea aderendo da protagonista al Tempest invece che aggregandosi come partner più debole all’Fcas franco-tedesco.

…E ALTRI QUATTRO

Piuttosto neutrale l’impatto del quinto fattore: “le recenti iniziative Ue in materia di difesa”, a partire dal fondo Edf da cui si attendono 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Anche grazie alla pressione italiana, la proposta di regolamento prevede che siano ammessi ai finanziamenti comuni i progetti a cui partecipino almeno tre attori di altrettanti Paesi Ue, a cui si aggiunge la possibilità di adesione anche a Stati extra-Ue. Ciò pone sullo stesso livello (in termini di co-finanziamento da parte dell’Unione) un programma franco-tedesco-spagnolo e un Tempest a cui partecipino Italia, Svezia, Olanda e Regno Unito. Un punto di domanda resta sul sesto fattore delineato dallo studio, “le implicazioni della Brexit”, con lo scenario di un no deal che impatterebbe su tutto il comparto della difesa britannico. Ciò influisce anche sulle “circostanze politiche” (settimo fattore), su cui comunque pesano i rapporti non facilissimi tra Roma e Parigi, e il contestuale rafforzamento del partenariato franco-tedesco siglato ad Aquisgrana a gennaio. Infine, occorre tenere in considerazione “le posizioni negoziali”. Qui la bilancia pende ancora per il Tempest, visto che Londra ha dimostrato una disponibilità ad aprire all’Italia che non è mai arrivata da Parigi. Così, conclude lo studio, “se si prendono in considerazione criteri di valutazione militari, industriali e politici, il Tempest rappresenta la miglior scelta strategica per l’Italia”.

Perché l'Italia deve decidere subito sul caccia europeo del futuro. Lo studio Iai

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