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Il terrorismo è oggi una delle minacce globali che presenta le maggiori sfaccettature e complessità. Dei suoi cambiamenti e del suo contrasto si discute ogni anno in Israele – una nazione che lo ha affrontato sin dalla sua fondazione – durante la conferenza dell’International Institute for Counter Terrorism in corso a Herzliya, che riunisce alcuni tra i maggiori esperti mondiali del settore.

LA MINACCIA TERRORISTICA PER ISRAELE

Le sfide che si presentano allo stato di Israele nei prossimi anni, si è detto nella prima giornata di lavori, coinvolgono il terrorismo da più angolazioni. In primo luogo, la questione degli “state-sponsor”, ovvero il contrasto a quelle nazioni che forniscono sostegno economico e logistico per atti di terrorismo perpetrati contro Gerusalemme. In prima linea c’è sicuramente la grande minaccia “triangolare”, ovvero quella composta dall’Iran, la Siria ed Hezbollah, che rappresentano un confronto sia di tipo convenzionale, sia di tipo asimmetrico, sia puramente terroristico. In secondo luogo la questione palestinese, che raccoglie diverse problematiche legate al terrorismo, come il piroterrorismo da Gaza, o i cosiddetti “lupi solitari” provenienti soprattutto dalla Cisgiordania. Oltre a questo, la stabilità regionale, in particolare per quanto riguarda Giordania ed Egitto, contribuisce ad arricchire il dibattito sulle sfide alla sicurezza del Paese. Secondo Yair Golan, già vice capo di Stato Maggiore delle forze di Difesa israeliane, sarà imprescindibile per Israele impiantare un sistema di difesa che sia pronto ad affrontare, contemporaneamente, la minaccia prossima del terrorismo sul campo, la sfida regionale iraniana – anche nella sua componente di conflitto convenzionale, e l’instabilità della regione. A livello puramente domestico, Israele è e sarà impegnato nella dura battaglia contro i tunnel, una tattica di guerriglia che Hamas utilizza, e che ha trasmesso anche ai combattenti dello Stato Islamico. Nuove capacità dovranno emergere non solo per stabilire un sistema di difesa efficiente nel sottosuolo, o in aria contro la tattica degli aquiloni e dei palloncini incendiari (i quali hanno causato incendi per decine di chilometri, nonché ingenti danni all’agricoltura locale) ma anche per affrontare al meglio il dibattito all’interno del sistema internazionale, che porta con sé importanti quesiti anche sul fronte legale.

CYBER SPAZIO E COOPERAZIONE

Il generale Itai Brun, che ha ricoperto il ruolo di capo dell’Israel Defense Intelligence (Idi), ha sottolineato anche l’inserimento di una nuova componente all’interno del mosaico strategico israeliano, ovvero la guerra delle informazioni all’interno di un cyber spazio che si rivela ogni giorno di più un’area di attacco non solo per criminali informatici ma anche per rivali geopolitici. La sfida interna consiste anche nel promuovere la cooperazione internazionale, per arrivare ad una definizione più possibile condivisa di terrorismo per creare nuovi strumenti operativi e legali. Certo, una definizione aiuta a comprendere, non a sconfiggere, ma il diverso approccio con cui stati europei, Stati Uniti e Israele affrontano il terrorismo ha certamente molti gap da colmare. Per Yaakov Peri, già ministro della Scienza e della Tecnologia nonché ex direttore dell’Israel Security Agency, alcune tecniche di contrasto e prevenzione del terrorismo sono state riprese da diverse altre nazioni, così come il fattore della resilienza, che traspare con chiarezza dall’organizzazione della società civile israeliana.

TRA SICUREZZA E VALORI DEMOCRATICI

Ad aprire il dibattito sullo scenario internazionale è stato invece Jehangir Khan, direttore dell’Office of Counter Terrorism presso le Nazioni Unite, che cooperano con la compagine militare israeliana nella lotta al terrorismo su scala globale, in particolare per quanto riguarda la condivisione di tecniche e informazioni. L’Onu sta costruendo nuove partnership a livello globale, cercando di raggiungere una sempre più completa condivisione delle informazioni circa la minaccia terroristica, in particolare sull’identità dei foreign fighters che tentano di rientrare nei Paesi di provenienza. A livello di law enforcement e intelligence, gli sforzi per raggiungere una maggiore cooperazione internazionale, nonché il sostegno a gruppi religiosi moderati nell’ambito dell’educazione contro ogni estremismo, stanno contribuendo a aumentare la coesione sociale e a costruire una maggiore resilienza, ritenuti obiettivi primario per le Nazioni Unite. La prevenzione dell’estremismo religioso passa, dunque, non solo dall’azione militare e deterrente, ma anche dall’implementazione di leggi (nazionali ed internazionali) adeguate, e dalla promozione di una corretta educazione che possa promuovere uguaglianza e isolare ogni possibile fenomeno di discriminazione religiosa e razziale. La comunità internazionale sta provando ad affrontare la minaccia terroristica coordinando e promuovendo la cooperazione, ma anche sfruttando ogni mezzo per prevenire questo fenomeno e parallelamente agendo in sostegno delle comunità maggiormente colpite. Diversi rappresentanti dell’intelligence e delle forze dell’ordine hanno portato alla conferenza esempi della loro esperienza nella gestione del terrorismo a livello nazionale e cittadino. David Glawe, sottosegretario presso l’ufficio di Homeland Security for Intelligence and Analysis statunitense è intervenuto nel dibattito portando all’attenzione dei presenti il caso di giovani studenti americani trasferitisi in Somalia per unirsi all’organizzazione terroristica Al-Shabaab. Oltre ai casi di cittadini radicalizzati o che si sono uniti a questi gruppi, Washington ha affrontato diversi attentati terroristici. In questi decenni gli Stati Uniti hanno concentrato gli sforzi a livello domestico per la lotta al terrorismo, cominciando dalla protezione delle infrastrutture critiche e concentrandosi – specialmente nell’ultimo anno – sulla questione delle minacce cyber. A tal proposito, la dispersione dei foreign fighters potrà creare secondo gli esperti intervenuti nuove reti particolarmente complesse da affrontare, e questa sfida riguarderà non solo l’intelligence, ma anche gli organismi preposti alla protezione dei confini.

L’EUROPA E I “LUPI SOLITARI”

Se si guarda all’Europa, negli ultimi anni il Vecchio continente è stato colpito anch’esso da un fenomeno nuovo, che ha coinvolto non solo membri delle organizzazioni terroristiche, ma anche giovani cittadini reclutati attraverso la propaganda online. Attratti dalla possibilità di lottare per una causa che mira a sovvertire l’ordine democratico liberale dell’Occidente e a diffondere il terrore nelle strade, i cosiddetti “lone wolves” (lupi solitari) stanno rappresentando una delle sfide più difficili da affrontare per i Paesi europei. Nonostante la difficoltà nel trovare una definizione comune di lupo solitario (per alcuni il termine “lone” sta per chi agisce in solitudine seppur radicalizzato e sostenuto da un’organizzazione terroristica, per altri si riferisce anche all’assenza di un supporto esterno), questo fenomeno richiede una particolare attenzione nel contesto europeo, in aggiunta alla collaborazione tra le agenzie di intelligence e i dipartimenti di polizia. La città di Londra, ha spiegato il commissario Ian Dyson, è uno dei centri finanziari più importanti al mondo, e presenta dunque molteplici vulnerabilità strutturali. Ogni Paese ha problemi e composizioni socio-culturali diverse, ma svariati studi, come quello condotto da l’Ict e ministero della Pubblica sicurezza di Israele, evidenziano l’impatto incredibile della radicalizzazione attraverso lo strumento dei social network, oltre che la frequenza altissima (63%) con cui gli attentatori hanno annunciato pubblicamente, su una o più reti sociali, di voler commettere un attentato terroristico. Per questo motivo, si è rimarcato, la sicurezza europea dovrebbe passare in maniera imprescindibile anche per la sicurezza dei contenuti che circolano nel web, nonché attraverso il monitoraggio dei segnali più evidenti che vi si palesano. Il tema del reclutamento dei lupi solitari è stato affrontato anche da Brian Michael Jenkins, senior advisor presso la Rand Corporation, uno dei think thank più noti degli Stati Uniti. Ispirati da immagini di violenza inaudita, solitamente diffuse online, i giovani “lone wolves” dell’esperienza americana agiscono in nome di una vera e propria lotta contro l’ingiustizia sociale, nell’errata convinzione di appartenere ad un sistema più esteso e di lottare per un obiettivo di valore. Il fenomeno, hanno infine rilevato gli esperti, accompagnerà purtroppo l’Occidente per molti anni a venire, e le sue infinite ramificazioni ed origini differenti tra i vari Paesi dell’area euro-atlantica rappresentano una sfida da cui la comunità internazionale non potrà sottrarsi.

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