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Sì, ma anche. È l’estrema sintesi di un virus, una malattia che si sta impadronendo di sempre più italiani, in questa estate di amarezze e tensioni. Respirando un’aria che si è fatta oggettivamente pesante, fra richiami sovranisti, pulsioni indicibili e reazioni uguali e contrarie di chi vede fascisti in ogni angolo del Paese, dramma nel dramma è il “Sì, ma anche”.

Davanti ad episodi ributtanti di cronaca, come le vicende di Aprilia o di Brescia (lo sono anche senza l’aggravante del razzismo, perché la violenza fine a se stessa e la giustizia fai da te sono la tomba dello stato di diritto e della convivenza civile), è tutto un rincorrersi e rinfacciarsi di episodi non considerati, non commentati, non additati.

“Tirano le uova anche ai bianchi”, “non parlavate, quando i neri massacravano i bianchi a Macerata”, “vi indignate solo se la vittima è nera” (a qualcuno scappa negro e nella fretta di twittare non se ne accorge), “pennivendoli venduti ai poteri forti”. Dall’altra parte, accuse di fascismo, nazismo, razzismo, similitudini frettolose e da brividi con gli anni ’30 e la nefasta propaganda che fu.

Allora, lo dico forte e chiaro: non esiste il “Sì, ma anche”. È un trucco, una consolazione per cervelli assopiti. Una coperta piena di buchi, tirata maldestramente su una società che dovrebbe avere la forza di guardare in faccia i propri demoni. Il ‘sì, ma anche’ è la scappatoia di chi prova ancora un po’ di vergogna per certi sentimenti xenofobi, ma vi sta cedendo piano piano. E vuole giustificarli, prima di tutto a se stesso.

Basta tendere l’orecchio al bar o in spiaggia – possiamo ancora farlo, oltre che affacciarci sul pozzo d’odio dei social – per accorgersi di questo lento smottamento: molte persone sono attratte dalla rassicurante semplificazione del nemico buono per tutte le stagioni. L’altro, il diverso da noi. Tanto minaccioso, quanto indistinto. E se talvolta dovessimo scoprire che l’altro non se la passa poi tanto bene a casa nostra, ci verrà in soccorso il “Sì, ma anche”. Ci puliremo la coscienza ricordando ad alta voce un paio di vittime bianche e torneremo a darci di gomito, con i nostri vicini d’ombrellone, sottolineando soddisfatti la prima estate clandestino-free (è una balla, ma piace assai).

Perfetto contraltare di questo spettacolo, la retorica del ‘ritorno del fascismo’. Ci siamo già passati, con accenti diversi, negli anni del Berlusconi trionfante. Molti faranno finta di non ricordare, ma se non servì allora a ridurre la popolarità del Cavaliere, non si vede come richiamare frettolosamente Goebbels possa indebolire oggi Matteo Salvini.

Chi voglia ritrovare equilibrio e moderazione, nel dibattito pubblico, dovrebbe esercitarli in prima persona. Senza cedere alle tentazioni della semplificazione a tutti i costi. Più complicato e faticoso? Senza dubbio. L’alternativa, però, è un confronto di livello sempre più basso e violento. Alimentato dall’incomunicabilità, potrebbe sfociare in odio. Stiamo attenti, molto attenti.

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Sì, ma anche. È l’estrema sintesi di un virus, una malattia che si sta impadronendo di sempre più italiani, in questa estate di amarezze e tensioni. Respirando un’aria che si è fatta oggettivamente pesante, fra richiami sovranisti, pulsioni indicibili e reazioni uguali e contrarie di chi vede fascisti in ogni angolo del Paese, dramma nel dramma è il "Sì, ma…

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