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Non bastavano le 450 vittime e le migliaia di feriti che hanno segnato negli ultimi 100 giorni la quotidianità nicaraguense, dove le proteste degli oppositori del Regime di Ortega si scontrano con la brutale repressione delle forze lealiste. Gli organi di stampa internazionali hanno cominciato a riportare altri episodi inquietanti. Si tratta di milizie paramilitari, vestite in borghese, che starebbero agendo in stretta coordinazione con le forze ufficiali governative, bruciando case, edifici delle università e uffici e arrivando persino a rapire i dissidenti per poi sottoporli a torture.

È il caso di Marco Noel Novoa, la cui storia appare oggi sulle colonne del Washington Post. Lo studente 26enne, cittadino americano che ha partecipato alle proteste contro il governo di Daniel Ortega. Novoa è stato una delle 600 persone, secondo i dati dell’Associazione per i diritti umani del Nicaragua, catturate da queste milizie armate. Il giovane, secondo le prime ricostruzioni, ha passato 7 giorni in cattività alla fine di naggio, periodo durante il quale ha dovuto subire scariche elettriche, torture dell’acqua e regolari pestaggi. Il caso di Novoa non ha fatto altro che aumentare la tensione tra Managua e Washington, fortemente critica sulla gestione delle proteste da parte del regime di Ortega. Già a Luglio il Dipartimento di Stato aveva imposto sanzioni contro i più importanti funzionari pubblici nicaraguensi. Lunedì, dalla Casa Bianca hanno fatto sapere che “il Presidente Ortega e il Vice Presidente Murillo sono responsabili per la para-polizia filo-governativa che ha brutalizzato il suo stesso popolo”.

Ortega e Murillo, che è anche la moglie di Ortega, negano qualsiasi complicità con le milizie, definite dal presidente una “polizia volontaria”, gestita e finanziata dai partiti politici avversari e finanziata dai cartelli della droga e dagli Usa. Diversa, ovviamente, l’opinione degli esperti statunitensi, secondo i quali i gruppi paramilitari hanno molto in comune con il governo. Infatti, queste milizie non ufficiali raccolgono ex soldati ed ex poliziotti, ex militanti del Fronte sandinista e affiliati al Fronte sandinista di liberazione nazionale, il partito di governo.

Le proteste che scuotono il Nicaragua vanno ormai avanti da metà aprile, quando sono scoppiate a causa di una nuova tassa del 5% sulle pensioni. La violenza che il governo ha subito usato per reprimerle, ha trasformato delle pacifiche manifestazioni di piazza in una vera e propria rivolta anti-governativa che mira a interrompere la permanenza al potere di quella che oramai è vista come la dinastia Ortega-Murillo.

Ortega è al suo terzo mandato consecutivo, dopo aver cancellato, con un abile colpo di mano, il limite costituzionale di due mandati.

Negli ultimi anni, la presa di Ortega sulle istituzioni si è fatta sempre più stretta. Gli oppositori interni al suo stesso partito sono stati allontanati e la Corte Suprema è oramai composta quasi esclusivamente da persone vicine al regime. La stessa fitta rete di rapporti si riscontra nelle emittenti televisive e le aziende petrolifere.

Il ruolo di dittatori aggrappati al potere contro un popolo che si ribella, che è oggi proprio di Ortega e consorte, stride non poco con la loro storia personale. I due, che si sono conosciuti mentre erano in esilio in Nicaragua, sono stai infatti entrambi protagonisti della Rivoluzione Sandinista, il movimento di ispirazione marxista-leninista che nel 1979 ha rovesciato la brutale dittatura di Anastasio Somoza.

L’Ortega che è tornato al potere nel 2006 dopo le due batoste elettorali del 1995 e del 2000 aveva però poco in comune con il giovane rivoluzionario marxista che negli anni ottanta si batteva per un Nicaragua laico e indipendente e resisteva ai tentativi americani di detronizzarlo. Il simbolo del nuovo corso è stata l’alleanza stretta con gli ambienti più intolleranti e reazionari della chiesa cattolica locale, prima grande sostenitrice proprio del Regime di Somoza.

Un simbolo spiega meglio di ogni altro come la storia, in Nicaragua, potrebbe star ripetendo se stessa. I ciottoli che coprono le strade di Managua erano usati dai rivoluzionari del 1979 che combattevano Somoza per creare muretti con cui proteggersi durante i conflitti urbani contro l’esercito. Oggi, le stesse pietre, e gli stessi muri, sono ancora protagonisti della rivoluzione. Questa volta però, sono usati da chi invece vorrebbe la fine del regime di Ortega.

Come troppo spesso accade a chi, in Sudamerica, sconfigge una brutale dittatura, Ortega potrebbe aver finito per crearne un’altra.

Daniel Ortega

Ancora sangue in Nicaragua. L'allarme dell'Associazione dei diritti umani

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