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“Non sanno camminare sulla terra” è il romanzo edito da Mondadori di Sergio De Santis nato a Napoli, classe 1953, che vive ed insegna storia e filosofia in un liceo a Roma.
Non sanno camminare sulla terra è l’intreccio di una vicenda familiare che dal 1896 percorre la storia d’Italia, attraverso le sorti dei membri di una stessa famiglia che, dal profondo Sud risale la penisola fino alla capitale e da quella lontana data dispiega la sua vita in una serie di vicissitudini che sembrano solo apparentemente distaccate le une dalle altre.
Il professor Gualtiero è il capostipite della famiglia, la sua storia personale si sviluppa alla fine del 1800 in un Meridione che è noto a tutti, terra piena di risorse usurpate da secoli di dominazioni e da ultimo “granaio” del Regno Sabauda . Gualtiero è un chimico, uno scienziato che ha dedicato la sua vita agli studi e alla ricerca anche con successo e un buon grado di riconoscimento nel mondo accademico, ma lega tutto il suo destino di uomo e di studioso ad una lettera, una lettera con i suoi calcoli e i suoi teoremi che invia ad un grande accademico per avere conferma del suo valore scientifico.
Trascorre anni della sua vita ad attendere una risposta, quella conferma che lo proietterebbe nel mondo scientifico mondiale, nel libro universale delle grandi scoperte e del successo intellettuale. Nel frattempo porta avanti la sua carriera accademica, diventa paternalista con i suoi studenti ed, ex cattedra , esorta i giovani a non abbandonare la tenacia di avere illusioni e di portare avanti i sogni di studio e di passione che sono legati alla scienza e alla scoperta che fanno dell’uomo il pioniere di ogni conquista e soprattutto della sua dignità di essere pensante e di individuo che si distingue per uno scopo socialmente e universalmente riconosciuto.
Il professor Gualtiero ha quattro figli. E’ l’Italia del dopo Unità che li rende contemporanei di una storia che si sta svolgendo assieme alla loro personale di uomini del Meridione che dalla Sicilia si trasferiscono nell’antica capitale del Regno , Napoli, la splendida Città di Napoli, dove il professore vive la vita accademica e cerca nei ritagli di tempo, nel chiuso del suo studiolo di costruire un rapporto paterno con i suoi figli Daniele, Ernesto , Gabriele e Adelina. Alcuni nomi si ripetono nella storia di famiglia con quell’antica usanza di chiamare i discendenti con i nomi degli avi e degli antenati anche più prossimi. Forse nell’attesa trentennale, ma che di fatto è un’attesa di tutta una esistenza, un’attesa che si tramanda come i geni, il professor Gualtiero fallisce il suo fine principale : essere un buon padre.
Il suo Daniele che non ha seguito gli studi scientifici, ma si è dedicato alle Lettere è il primo depositario di un taccuino che il padre gli affida, primo perché vuole raccontare la sua storia, la storia di una vita dedita alla scienza e ad un’attesa che si è tramutata in una vera e propria maledizione, come sostiene la moglie Tecla. Daniele è freddo alla richiesta di attenzione rivoltagli dal padre, prende in consegna la minuta della lettera e il taccuino, ma con freddo distacco stronca la velleità di romanziere del padre che, comunque desidera consegnargli un testamento morale, lo svolgimento della sua storia personale e forse il tentativo di ricostruire un rapporto padre-figlio a lungo trascurato.
Il romanzo di Sergio De Santis si dispiega in un intreccio tra passato e presente dalla famiglia di Gualtiero fino a Daniele che, per ironia della sorte lavora in un magazzino e deposito in cui si tritano documenti e fascicoli di carta della burocrazia nazionale, documenti che per circolare ed essere distrutti devono essere vistati da più funzionari. Daniele è l’anello di una catena nella discendenza della famiglia che più del suo antenato omonimo, morto suicida, non si era fatto annientare dalla vita e soprattutto dall’incertezza della propria sorte e dalla noia esistenziale .
Daniele, figlio di un generale, aveva deluso il proprio padre sia per non aver condotto gli studi giuridici sia per non aver intrapreso la carriera militare, aveva vissuto senza un vero e proprio scopo, nonostante nel suo DNA avesse registrato, in qualche gene più o meno recondito, quanto fosse significativo coltivarlo un proprio scopo personale e professionale, come era stato inculcato dal suo avo professor Gualtiero e dai suoi prozii Ernesto e Gabriele. il primo, Ernesto si era trasferito in America interrompendo ogni contatto con la propria patria e portando avanti la sua vita letteraria e Gabriele avvocato che aveva contrastato il Regime Fascista con una solida e fiera resistenza di principio.
Daniele aveva di fatto accettato più semplicemente di vivere la vita che gli era capitata, senza onori né gloria, avendo più capacità di osservare senza giudicare e senza farsi sopraffare dal timore del giudizio altrui. Lui, figlio di un generale lavora nel “ventre di una balena”, in un angusto spazio dove una “mangiatrice” di documenti divora e distrugge i documenti di carta, le lettere e i fogli di un intero Stato e di una lunga epoca fatta di carta, di scrittura, di lettere a cui si doveva rispondere o appunto di lettere disattese, non risposte. Tutto qui, finché l’incontro con la semplicità gli restituisce il senso di tutta l’esistenza, non solo la sua, ma dell’intera sua storia personale e famigliare. Daniele incontra Agostino un “olivocoltore” che in un momento della sua vita deve separarsi dalla sua amata terra, dal suo campo, dai suoi ulivi. Agostino deve vendergli la sua terra, ma gli trasmette dapprima un amore per gli alberi e per gli ulivi che Daniele non immaginava di poter apprendere. “Gli ulivi sono come gli uomini” la loro storia è simile, è la metafora di un’esistenza umana solo che gli ulivi, come tutti gli alberi “non sanno camminare sulla terra” e quindi vivono radicati al terreno, subendo ogni stagione, ogni raccolta, ogni potatura, ogni intemperia e l’uomo il quale li cura e li ama impara ad avere compassione di loro come Dio ha compassione degli uomini di buona volontà. La vecchia filosofia contadina è invincibile, quale Maestra migliore ha l’uomo se non la terra che tutto gli insegna e gli offre, ma che richiede tutta la sua fatica e la sua attenzione , le sue gambe, le sue braccia? Daniele recupera l’affetto per le cose avute e perdute, per suo figlio Francesco, l’amore per la moglie da cui si è separato, l’amore per gli alberi, per tutto ciò che vive ed esprime una vitalità e, finalmente, raccoglie quello che in tante esistenze è stato seminato da altri : raccoglie la capacità di avere “compassione” verso anche se stesso. Daniele riprende in mano un vecchio taccuino di famiglia e rilegge le fila di un’esistenza parallela e lontana, un vecchio meridiano chiamato Destino iniziato dal professor Gualtiero e dalla sua lettera che attende risposte. La vita stessa è come un albero di ulivo dal tronco contorto , dai rami che si sollevano verso il cielo o ricadono verso terra. L’ulivo dà sempre i suoi frutti ed è la sapienza umana che li trasforma attraverso un frantoio e che ne fa un oro liquido che si condisce di esperienza e sacrificio come il lavoro.
A distanza di anni sarà suo figlio Francesco a riscattare l’attesa di intere esistenze. Ricercatore per la fisica riceve una mail, una lettera virtuale che materialmente non esiste, non lascia traccia se non nel linguaggio informatico, una lettera che non è di carta, che non conosce il tocco della mano, né il nero dell’inchiostro. Francesco riceve la sua mail in cui la Scienza plaude ai suoi calcoli e alle sue geniali scoperte. Finalmente il frutto è maturo, lontanissimo dalle sue radici ma ricco di tutte quelle sostanze nutritive che sono passate per la linfa dal tronco, ai rami , alle foglie fino all’infiorescenza che si è portata dentro il frutto e tutta l’essenza. La maledizione si interrompe con il ricevimento di una moderna lettera, un’attesa che si compie . Gli alberi non sanno camminare sulla terra, ma gli uomini sì e possono raggiungere i loro sogni con la tenacia e la forza che gli alberi, con il loro stare fermi insegnano agli uomini.
Un gran bel libro quello di Sergio De Santis proposto da Antonio De Benedetti per il Premio Strega 2018 e che sarebbe stato il romanzo mancante nella cinquina dei finalisti.

Ha collaborato alla redazione della presente recensione Marianna Scibetta presente su Formiche.net con il suo interessante blog http://formiche.net/author/mariannascibetta/

Un meridiano chiamato destino

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