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L’Oms cerca le cure ai mali che minacciano la salute dei cittadini del mondo, ma ignora le dinamiche che sostengono l’innovazione. Non è una coincidenza con il coronavirus, è un caso. La settimana prossima gli stati membri dell’l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si riuniranno a Ginevra, per il Comitato Esecutivo (EB) per stabilire l’agenda sanitaria globale per il 2020. Uno dei temi principali è la ricerca di percorsi sostenibili per attuare l’assistenza sanitaria universale (UHC), iniziativa sostenuta dalle Nazioni Unite per garantire un accesso accessibile ai servizi sanitari di base. La questione è rimasta al centro dell’attenzione dell’Oms poiché almeno metà della popolazione mondiale non ha ancora una copertura completa dei servizi sanitari essenziali.

Non possiamo colmare il divario dell’accesso all’assistenza senza che entrambi i settori, pubblico e privato, lavorino in modo collaborativo — come riconosciuto in passato dall’Oms stessa. Il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha ripetutamente sostenuto il valore della collaborazione pubblico-privato. Nonostante tale riconoscimento, l’Oms sta esaminando una proposta che metterebbe seriamente a rischio il ruolo del settore privato nello sviluppo di nuove cure e terapie per le malattie.

Nel 2008 l’Oms ha adottato la Strategia Globale ed il Piano d’Azione sulla Sanità Pubblica, Innovazione e Proprietà Intellettuale (GSPOA). L’obiettivo della GSPOA è quello di rafforzare gli investimenti ed aumentare la ricerca e lo sviluppo (R&S) nelle malattie che colpiscono, in modo sproporzionato, i paesi in via di sviluppo. All’epoca, il linguaggio rifletteva il consenso sul ruolo positivo della proprietà intellettuale (IP) nella salute globale. Tuttavia, la bozza della GSPOA in esame all’EB dell’Oms di quest’anno propone politiche che comprometterebbero i diritti di proprietà intellettuale: come l’uso illimitato delle così dette licenze obbligatorie, ed i governi che consentono la produzione di un farmaco brevettato senza però il consenso del proprietario.

La forza trainante dell’innovazione del settore privato sono i ferrei diritti di proprietà intellettuale. Questi forniscono alle aziende l’incentivo di investire miliardi ogni anno nella ricerca di nuove cure. L’Europa è un centro globale per l’innovazione, con circa 35 miliardi di euro investiti nella R&S solo nel 2017. Sono sempre necessari nuovi trattamenti e cure, che si tratti di contenere epidemie di malattie trasmissibili, come l’Ebola o il coronavirus, o di curare malattie non trasmissibili come le malattie cardiache ed il diabete. Vogliamo un sistema che incentivi le imprese ad investire di più nella ricerca, non meno.

I governi e l’Oms non possono raggiungere l’UHC da soli, soprattutto nei paesi con un reddito medio-basso. Il settore privato, infatti, fornisce fino all’80 per cento dell’assistenza sanitaria in molti paesi in via di sviluppo, per cui è impossibile ignorare il settore privato quando si cerca di ampliare la copertura sanitaria. Quando così tante persone hanno accesso all’assistenza sanitaria grazie al settore privato, è essenziale che il settore pubblico e privato collaborino per affrontare le barriere all’assistenza sanitaria.

Per ottenere un risultato concreto e che migliori la vita delle persone, gli Stati membri dell’EB dell’Oms di quest’anno devono evitare di puntare il dito contro i diritti di proprietà intellettuale e considerarli come una barriera all’assistenza. Dovrebbero, invece, esplorare misure pratiche e concrete quali tasse e tariffe, infrastrutture scadenti, catene di approvvigionamento costose e inefficienti, ed investimenti pubblici insufficienti nell’assistenza sanitaria.

Dunque, gli Stati membri dell’Oms hanno l’opportunità di compiere progressi reali sugli obiettivi globali in materia di salute impegnandosi ulteriormente nella collaborazione pubblico-privato. L’assistenza sanitaria universale non può essere realizzata senza il settore privato.

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