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L’industria della plastica insorge contro la plastic tax, il balzello che il governo giallorosso vuole introdurre nella manovra approvata questa notte dal Cdm. Obiettivo, sponda esecutivo, dare una chiave green alla legge di Bilancio 2020, dal momento che prima di sbloccare gli investimenti verdi occorrerà innanzitutto un loro sganciamento dal calcolo del deficit. Ma le imprese del settore, 11mila per 30 miliardi di fatturato annui, non ci stanno.

PLASTICA NEL MIRINO

Della plastic tax, si sa ancora poco, ma ce ne è abbastanza per mettere un pezzo di Pil italiano. Si tratta di una tassa su imballaggi e contenitori di plastica da affiancare agli incentivi per i prodotti sfusi già previsti dal dl Clima con l’obiettivo di promuovere abitudini più eco-sostenibili. La stangata dovrebbe prendere le forme di un’aliquota essere superiore a 0,2 euro (20 centesimi) per chilogrammo di plastica prodotta. Insomma, un prelievo fiscale con lo scopo di colpire la produzione o l’importazione di imballaggi, bottiglie e contenitori. L’obiettivo è duplice: da un lato promuovere una filiera produttiva plastic free a tutela dell’ambiente e dall’altro reperire risorse preziose per lo Stato. Problema. Se aumenta il costo della plastica, aumenta il prezzo allo scaffale, della bottiglia di minerale, per dirne una. Il prelievo fiscale a monte sulla produzione o l’importazione dei contenitori in plastica peserebbe dunque sul prezzo finale dei beni. E in tempi di consumi rasoterra, per chi la plastica la deve vendere, non è una buona notizia, così come non lo è per chi si deve recare al supermercato. Un po’ come accadrebbe con la sugar tax, la tassa sulle bibite zuccherate.

INDUSTRIA ALL’ATTACCO

Di qui la protesta delle imprese di settore. Unionplast, associazione confindustriale di categoria che riunisce i trasformatori di materie plastiche, ha diffuso una nota in cui esprime tutto il suo disappunto per la misura pensata dal governo. Le imprese si oppongono con forza alla volontà del governo “di inserire, nell’ambito della legge di Bilancio, una tassazione che andrebbe a colpire le imprese produttrici di imballaggi in plastica”. Secondo il presidente di Unionplast Luca Iazzolino, “la plastic tax rischia di affossare ulteriormente la competitività di un settore di eccellenza che sta già intraprendendo una transizione verso soluzioni più sostenibili. Già oggi, infatti il 15% della plastica utilizzata proviene da economia circolare, con un trend in continua crescita, anche sulla spinta delle dinamiche di mercato. Basti pensare che la domanda di polimeri riciclati è salita nel 2018 del 3,1%, a fronte di una discesa dei consumi di materie plastiche vergini. Dobbiamo evitare il ripetersi di provvedimenti inappropriati che fanno male al Paese”.

A favore dell’industria della trasformazione delle materie plastiche è intervenuto anche Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil, secondo cui “la ‘tassa sulla plastica non ha alcun razionale logico. Le aziende produttrici di imballaggi già pagano ai consorzi per il recupero e riciclo dai 150 ai 500 euro a tonnellata in funzione proprio delle differenti difficoltà di raccolta e riciclo dei prodotti. Produrre una tonnellata di plastica per imballaggi costa circa 1000 euro e la ventilata ipotesi di una tassa aggiuntiva del 20% metterebbe a rischio il futuro di 50.000 lavoratori e di 2000 imprese. Non si tratta di difendere gli interessi di un settore ma di evitare un disastro dal punto di vista sociale e produttivo. Il governo deve dotarsi di una seria politica industriale, basta seguire istinti ed emotività!”

I DUBBI DEL MINISTRO

A dire il vero, anche dentro il governo c’è chi ha dubbi sul balzello. Non solo le imprese, i sindacati, ma anche lo stesso ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Che, intervenendo in radio, ha detto la sua. “L’idea generale è di destinare 50 miliardi in 15 anni per l’ambiente, ora vediamo come tutto sarà declinato. La plastic tax? Io preferisco sempre gli incentivi, non le tasse”.

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