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La visita di Emmanuel Macron in Italia “poteva forse attendere un altro po’, per evitare possibili strumentalizzazioni politiche a poco tempo da una importante intesa europea sulla gestione dei flussi migratori”. Tuttavia, la riapertura di un dialogo tra Roma e Parigi “è un fatto positivo” che deve avere come conseguenza “una ripresa del Trattato del Quirinale” e “un rafforzamento dei rapporti istituzionali tra i due Paesi sul modello esistente fin dal 1963 tra Francia e Germania, che ha funzionato” e che potrà portare a “evitare molte delle incompresioni degli ultimi anni”.
A crederlo è Jean-Pierre Darnis, professore associato presso l’Università della Costa Azzurra e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, che in una conversazione con Formiche.net evidenzia come ricostruire un canale di comunicazione stabile tra le due capitali potrà anche “servire in modo specifico all’Italia a non subire l’inevitabile accelerazione dei rapporti franco-tedeschi successiva alla Brexit”. Del resto, aggiunge lo studioso, le convergenze e gli interessi comuni tra i ‘cugini’ non mancano, vanno solo coltivati. Ecco come.

Professor Darnis, il presidente francese Emmanuel Macron è a Roma per incontrare il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Che significato dare a questa visita?

Si tratta di un avvenimento positivo, perché il rapporto bilaterale tra Italia e Francia ha bisogno di essere rilanciato. E poi perché, probabilmente, ci saranno anche annunci importanti. Tuttavia penso che sarebbe stato meglio che questa visita arrivasse tra un po’.

Perché pensa che fosse meglio aspettare?

Uno degli annunci che potrebbero arrivare è quello sull’intesa sulla ripartizione dei profughi, il che per l’Italia è senz’altro qualcosa di positivo. Questa, però, innanzitutto non è una misura franco-italiana, bensì un accordo multilaterale che coinvolge anche Germania e Malta e che dovrebbe essere presentato ufficialmente proprio a La Valletta nelle prossime settimane. Quindi, forse, sarebbe stato opportuno arrivare a un incontro tra Italia e Francia dopo quella data, perché il tema si presta a strumentalizzazioni politiche – ad esempio quelle sul rifiuto di Macron di accogliere migranti economici, ma solo i profughi – che in questo momento così delicato potrebbe rovinare un summit che è invece a mio parere positivo e necessario.

Crede che in ogni caso la cooperazione tra i due Paesi gioverà di questo canale dialogo che sembra riaperto?

Penso di sì. Una ripresa del Trattato del Quirinale sarebbe molto importante e promettente, perché permetterebbe di trattare in profondità dossier su base bilaterale. Parigi e Berlino hanno una collaborazione istituzionale rafforzata dal 1963 e funziona. Ci si incontra con periodicità e, quattro volte l’anno, alcuni ministri francesi partecipano al Consiglio dei ministri tedesco e viceversa. Ciò consente di definire assieme le linee delle politiche di interesse comune, creando le necessarie convergenze prima che nascano i problemi e non dopo. Negli ultimi anni Italia e Francia si sono incontrati molte volte, ma sempre a seguito di divergenze. Credo che con questo meccanismo si sarebbero potute invece evitare molte delle incomprensioni che da almeno venti anni ci sono tra Roma e Parigi. Un esempio è senz’altro il caso di Stx-Fincantieri.

Pensa che Parigi e Roma abbiano interessi convergenti?

Ci sono senza dubbio divergenze legittime su molti dossier e, su queste, si potrebbe quanto meno agevolare una comprensione politica delle reciproche posizioni. Ma sono anche tanti i casi nei quali si potrebbe cooperare e non lo si fa per diffidenze e scarsa conoscenza. E così si perdono molte opportunità. Ad esempio, in ambito tecnologico e in particolare in quello di difesa e aerospazio, Italia e Francia hanno sistemi paragonabili, con aziende a controllo o a partecipazione statale che contano su investimenti pubblici. Entrambi i Paesi hanno spinto molto sul settore spaziale, nel quale possono esserci importanti sinergie. Rilanciare il dialogo franco-italiano può essere fondamentale anche nel contesto europeo. E può servire in modo specifico all’Italia a non subire l’inevitabile accelerazione dei rapporti franco-tedeschi successiva alla Brexit, che si tradurrà in politiche e in conseguenti strumenti in mano alla Commissione.

A proposito di Commissione Ue, alcuni dei dossier tecnologici che ha citato saranno gestiti dal commissario al mercato interno, la liberale francese Sylvie Goulard, che sarà anche responsabile di una nuova direzione generale che si occuperà di industria, spazio, digitale e difesa. Crede che ciò agevolerà la cooperazione o alimenterà ulteriori diffidenze?

Sylvie Goulard è la persona giusta per creare i pressuposti per una collaborazione che dovrà vedere pronte Italia e Francia. Conosce molto bene le dinamiche europee, è stata brevemente ministro della Difesa in Francia, ha lavorato con Romano Prodi e Mario Monti. Inoltre, dettaglio non fondamentale ma importante, parla bene la lingua italiana. E tutto ciò non può che agevolare i rapporti franco-italiani su questi argomenti. Da ministro della Difesa Goulard intendeva rilanciare gli investimenti innovativi e si fece promotrice della Joint European Disruptive Initiative, una sorta di Darpa europea partecipata da Francia, Germania con molte aziende che si sono avvicinate, anche italiane. Se il nuovo commissario deciderà di proseguire su questo percorso, magari rafforzandolo e rilanciandolo, l’Italia deve essere pronta ad avvicinarsi perché ha tutto l’interesse a usufruire di questi strumenti e, perché no, anche a influenzarli. Per questo è necessario elevare la qualità del dialogo tra Parigi, Roma e anche Berlino.

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