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In un recente convegno, promosso da Rel (Riformismo e libertà), due analisi non coincidenti, ma convergenti verso un unico interrogativo. L’Italia riuscirà a venirne a capo? O la crisi non la trascinerà fino in fondo? Giampaolo Galli, più monetarista che non “sviluppista”, aveva mostrato tutto il suo scetticismo. L’eccesso di debito la sta imprigionando.

Quindi è su questa variabile che bisogna incidere. Le nuove regole europee (Consiglio europeo 4 dicembre 2018), che sono in gestazione, tendono a modificare l’attuale disciplina in merito alla salvaguardia del valore dei titoli emessi. Attualmente, per la loro maggior parte, vige il principio secondo il quale eventuali modifiche peggiorative debbano essere approvate dal 75 per cento dei sottoscrittori. Un muro invalicabile. A meno di non pensare a quei tacchini che sono felici durante la festa del ringraziamento.

Difficile prevedere come andrà a finire. Comunque l’idea che l’eventuale intervento dell’Esm (European Stability Mechanism) possa essere invocato solo nell’eventualità di situazioni in cui il debito sia solvibile, sta prendendo corpo. Ed allora qual’è il rischio? Nel caso in cui il rapporto debito – Pil dovesse divenire “esplosivo“ non resta altra strada che la sua ri-denominazione. Cosa che può assumere differenti aspetti: una forte specifica tassazione; un allungamento delle scadenze, imposto per legge; oppure il taglio del loro valore facciale. Titoli emessi a 100, che da un giorno all’altro, sono rimborsati ad un valore più basso. In ogni caso uno scenario più che inquietante.

Chi scrive resta dell’idea che il rapporto debito-Pil, nel caso italiano, può essere affrontato solo con una politica di forte sviluppo. Qualsiasi stretta fiscale non è solo socialmente e politicamente insostenibile. A meno di non mettere in discussione gli stessi assetti democratici del Paese. Ma sostanzialmente inutile. La
compressione della domanda effettiva, in atto da diversi anni (in pratica dal 2012), contribuisce ad una riduzione del deficit e del debito, ma in compenso determina una caduta del Pil ancora maggiore.

Crolla, infatti, l’economia reale, i prezzi tendono al ristagno se non a diminuire. Ed alla fine del ciclo, il rapporto debito-Pil, più che diminuire, risulta in crescita. È la storia di questi ultimi anni: basta fare il confronto tra quanto è avvenuto dal 2001 al 2007, con i disastrosi risultati del decennio successivo. Vi sono le risorse per tentare una simile strada? L’Italia non è la Grecia e nemmeno la Francia. A differenza di questi Paesi, presenta un surplus rilevate (2,5 per cento del Pil) delle sue partite correnti della bilancia dei pagamenti. Questo avanzo genera, ogni anno, un risparmio che non incontra una domanda di investimento, a causa delle politiche deflative finora seguite. Di conseguenza prende la via dell’estero. Secondo i dati più recenti della Banca d’Italia, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammonta a 9.743 miliardi: otto volte il Pil. 1.958 miliardi di euro sono i vestiti in strumenti tipicamente finanziari (bond, fondi d’investimento ecc.).

Una massa enorme che viene alimentata da quei 50 miliardi di euro, l’anno, (una goccia rispetto allo stock) che sono il corrispettivo del surplus con i conti con l’estero. L’ideale sarebbe che fossero i privati a utilizzare queste risorse. Ma se il “cavallo non beve” ci può pensare il settore pubblico, aumentando il deficit. Ma ad una sola condizione. Non certo finanziando l’acquisto per i pannolini, pur con tutto il rispetto per questa nobile iniziativa, ma per finanziare gli investimenti pubblici e produrre una profonda riforma del sistema fiscale. La parola d’ordine dovrebbe essere: nemmeno un euro per la spesa corrente, ma soldi investiti direttamente in quei comparti a più forte moltiplicatore di reddito. E la riforma fiscale, considerato il tempo passato (più di 50 anni) dall’impostazione che le fu data da Visentini e Cosciani, va senz’altro annoverata in questa benemerita categoria.

Fin qui le diverse impostazioni. Identica tuttavia la preoccupazione per l’immediato avvenire. Quella prigione, di fronte alla mancanza di una linea da parte del governo, rischia di dimostrarsi una fortezza inespugnabile. Ed intanto, a distanza di qualche giorno, ecco il nuovo monito di Ignazio Visco. A proposito degli spread, che rischiano di giungere ad un punto di non ritorno. Nella polemica che ne è seguita, siamo più vicini alle posizioni di Matteo Salvini. Ma ad una condizione: che esse siano sostenute da un ragionamento coerente. In grado di convincere non solo, anche se innanzitutto, gli Italiani. Forse ce la possiamo ancora fare.

salvini

Attenti a non trasformare il debito pubblico in una fortezza inespugnabile

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