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Cresce il numero delle vittime dell’ultima ondata di scontri nel sud di Tripoli. Sono 11 i morti e 13 i feriti, in quella che il sito informativo libico al Marsad ha definito la notte peggiore per la capitale dal 2014, quando è partita l’operazione Alba della Libia. Sono ormai più di 24 ore che i rimbombi dei colpi di mortaio risuonano nelle orecchie dei cittadini libici, alimentando la paura che il bilancio dei morti sia molto più alto di quello che appare ora, anche considerando che dall’inizio delle proteste a fine agosto, il bilancio è di 96 vittime decedute e 444 feriti.

Se la comunità interazionale si interroga sulle prossime mosse nel frattempo, la missione Onu Unsmil ha lanciato un monito contro le forze protagoniste degli scontri. Il tweet è inequivocabile e ammonisce “le forze che lanciano attacchi da aree residenziali popolate, in particolare quelle sotto il comando di Abdul-Ghani al Kikli, alias Ghneiwa, L’Onu ricorda loro che sono firmatarie di un accordo vincolante per il cessate il fuoco e che è vietato esporre i civili a rischi”.

Intanto testimoni locali hanno riferito ai media libici che molti residenti della zona hanno abbandonato le loro case a causa della caduta di razzi, causando in questo modo l’incremento del numero degli sfollati. Ma nulla, nemmeno il rischio a cui stanno sottoponendo la popolazione, sembra al momento riuscire a distogliere le milizie dallo scontro. In particolare quello tra e Forze di deterrenza (Reda) fedeli al governo di Fayez al Serraj e la brigata Al Sumud, guidata dal miliziano islamista Salam Badi, che continuano un frenetico rimpallo di accuse.

La milizia Al Sumud, principale indiziata di aver dato il via all’ultima ondata di tensione, ha smentito le accuse che la imputavano di aver violato la tregua. In un comunicato ufficiale dichiara, infatti, di “aver rispettato il cessate il fuoco firmato a Zawiya”, puntando il dito contro “altre milizie e bande criminali che hanno attaccato le nostre postazioni e abbiamo documentato tutto con immagini e video”. Criticando, inoltre, aspramente l’Unsmil per “non essersi mossa in tempo contro le milizie responsabili”.

Anche il generale Khalifa Haftar, d’altra parte, non intende sobbarcarsi di responsabilità che non lo competono. L’uomo forte della Cirenaica ha negato qualsiasi coinvolgimento negli scontri e, parlando ieri sera con i capi tribù degli al Awaqir e di altri clan della zona, ha spiegato che “l’esercito si muoverà su Tripoli al momento opportuno e in modo chiaro. La legge perseguiterà tutti coloro i quali hanno sostenuto le milizie armate, compresi i membri del governo di Tripoli”. Pronto all’attacco, dunque, ma per ora fermo “alla finestra”. “Vediamo quello che accade. Non resteremo silenti sulle sofferenze della gente. Siamo molto vicini”, ha continuato il generale.

E mentre la situazione stenta a tornare alla calma, almeno una notizia fragilmente confortante arriva dalla riapertura dell’aeroporto del giacimento petrolifero di al Wafa, chiuso ieri a causa degli scontri. Lo si apprende da una nota ufficiale della compagnia di Tripoli: “La Noc è grata ai manifestanti per essersi ritirati in seguito all’ammonimento pubblico della compagnia”, chiarendo che “la produzione del sito non è stata influenzata dalla protesta”.

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