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Ormai anche Matteo Salvini ha capito che la legislatura, Conte o non Conte, non finirà prima del 2022. Almeno che non accadano, ovviamente, fatti imprevedibili, cioè ad oggi improbabili, o eventi traumatici.

Ha capito, soprattutto, che la madre di tutte le battaglie sarà l’elezione, o il meglio il nome che ne verrà fuori, del prossimo Presidente della Repubblica. Certo, chiedere che il Parlamento sia sciolto, è per il leader della Lega un dovere quasi d‘ufficio, dopo le vicende dell’agosto scorso. Certo, vincere le regionali e tenere bene nei sondaggi è importante, se non altro perché migliora lo stato d’animo e rende anche più forti e convincenti nelle proprie proposte politiche.

Tuttavia, il contratto sottinteso all’atto della costituzione del secondo governo Conte prevedeva proprio questo: fare in modo che Salvini non influisse sulla scelta del successore di Sergio Mattarella. Un presidente “salviniano”, infatti, sarebbe inviso all’Europa e l’Italia probabilmente sarebbe abbandonata a sé stessa (che poi questo sia, in astratto, un bene o un male per il nostro Paese non è questione che qui voglio affrontare).

Inoltre, non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: il nostro Presidente della Repubblica ha un potere politico immenso, e fa politica anche quando decide di non decidere casomai trincerandosi dietro un “non possumus” (come il nostro Capo dello Stato sembra aver scelto di fare).

Il ruolo del “notaio” corrispondeva quasi alla realtà nella prima Repubblica, ma per un semplice motivo: fra le forze politiche c’era allora un accordo sostanziale “di sistema” che rendeva quasi simbolica la figura del Presidente di Repubblica di fatto anche se non di diritto.

Ora, considerato tutto ciò, e considerato che due anni son lunghi da passare, Salvini ha quindi deciso di fare politica, nel senso “fiorentino” del termine, cioè qualcosa che forse contrasta enormemente con la sua indole di catalizzatore di consenso e di politico che ama vivere nelle piazze (anche quelle virtuali) piuttosto che trafficare nei palazzi romani. Ma la politica significa anche tener da conto del “principio di realtà”, cioè del fatto che la nostra è una democrazia parlamentare e non presidenziale.

È vero che il Parlamento viene costantemente scavalcato, e spesso anche umiliato, ultimamente (in verità Conte non ha fatto altro che accentuare tendenze in corso da qualche anno a questa parte). Ma, alla fine, sempre di lì bisogna passare. E da lì passerà anche l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, che è, al tempo stesso, una battaglia cruciale, come si è detto, ma anche sostanzialmente imprevedibile negli esiti. Come la storia insegna, raramente infatti chi è entrato cardinale in quella competizione ne è poi uscito Papa.

Perché allora dare per persa la battaglia? La strategia è chiara, esplicitata dallo stesso Salvini nell’intervista al Corriere di domenica scorsa: lavorare sulle contraddizioni del Movimento Cinque Stelle e isolare il PD che è il “partito-sistema” per eccellenza. Da una parte, si tratta perciò di far trasmigrare letteralmente nel proprio Partito quanti più grillini possibile (e la “campagna acquisti” è già cominciata in pompa magna); dall’altra portare a una spaccatura nel Movimento fra l’ala che ha ancora il “mito delle origini”, o semplicemente non sopporta Conte, e quella più filo piddina o istituzionale.

Riuscirà l’operazione? Le incognite sono ovviamente tante e l’azzardo è grande. La “campagna acquisi” potrebbe funzionare anche in senso inverso, per intanto. E ognuno, a cominciare da Silvio Berlusconi, cercherà di giocare una propria personale partita. Salvini non aveva però molte altre strade per evitare l’isolamento e l’irrilevanza.

Che poi i tempi della politica, misurati sul 2022, siano drammaticamente asimmetrici rispetto a quelli del Paese, beh questo è un altro, e non certo irrilevante, discorso. E l’elemento più preoccupante dell’intero quadro.

Scalata al Quirinale (via Cinque Stelle). Il piano di Salvini secondo Ocone

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