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Una “cortina di seta” divide già in due il mondo globalizzato. Tecnologia, armi, investimenti, l’aut-aut fra Cina e Stati Uniti ormai coinvolge tutti i settori. L’Italia non può sottrarvisi ancora a lungo, spiega a Formiche.net Ian Bremmer, politologo, presidente di Eurasia Group e docente alla New York University. Se perfino il segretario di Stato americano Mike Pompeo si scomoda per un viaggio a Roma a un mese dalle elezioni presidenziali, significa che il tempo per una scelta di campo è scaduto.

Ian Bremmer, chi ha vinto il dibattito fra Trump e Biden?

Nessuno ha davvero vinto. Biden è stato più coerente, disposto a giocare secondo le regole. Ma questo dibattito, il peggiore della storia americana, non sposterà un solo voto. C’è altro che dovrebbe preoccupare in vista del 4 novembre.

Cioè?

Ad esempio, un presidente che avvisa di non voler accettare il risultato delle elezioni, e minaccia di riversare in piazza i suoi sostenitori. Oppure milioni di voti a distanza da gestire nel mezzo di una pandemia. Non a caso avevamo inserito fra i “Top Risks” del 2020 di Eurasia Group il caos elettorale americano.

Quattro anni fa a quest’ora Trump sembrava in grave difficoltà con Hillary Clinton.

Oggi è in una posizione peggiore. È molto dietro a Biden, anche negli Swing States. E c’è una differenza rilevante: oggi Trump ha un potere che quattro anni fa era inimmaginabile. È presidente, domina le tv e i social network, ha dalla sua un Procuratore generale (William Barr, ndr) molto di parte. Quanto basta per contestare il voto, se dovesse andargli male.

Finora la politica estera è rimasta dietro le quinte. Anche la polemica cinese non è emersa granché.

Il fatto che la Cina sia finita in sordina in campagna elettorale non vuol dire che sia scomparsa. Trump ha altro cui pensare, il coronavirus, la Corte Suprema, Law and Order. I contatti fra Stati Uniti e Cina proseguono. Ma la relazione peggiora su tutti i fronti: tech, commercio, tensioni nel Mar cinese meridionale, Taiwan.

C’è la Cina dietro il tour europeo di Mike Pompeo?

In verità il primo obiettivo di questo tour è intervenire per frenare l’escalation fra Grecia e Turchia. Ovvero evitare che due Paesi Nato arrivino allo scontro militare. Qui la mediazione americana può fare la differenza. Trump se ne disinteressa, Pompeo no. Fortunatamente.

Poi c’è il 5G. L’Italia non escluderà Huawei ma ha rafforzato la normativa. È sufficiente?

Dipende cosa si intende per sufficiente. No, gli americani non metteranno l’Italia sotto sanzioni. E sì, continueremo a comprare vestiti Armani. Ma in ballo c’è qualcosa di più grande. Il mondo si muove verso lo Splinternet, una rete divisa in due, e alla stessa sorte vanno incontro i big-data, l’Intelligenza artificiale, l’Internet of Things, la rete 5G. Quando i conti saranno fatti, l’Italia vorrà farsi trovare dal lato cinese? Sarebbe un errore.

Gli Stati Uniti sono disposti a tagliare i ponti?

Mettiamola così: l’Italia non sarà messa alla porta dalla Nato, ma sì, rischia di finire tagliata fuori dai flussi informativi. L’accelerazione è già in corso. Gli Stati Uniti stanno mettendo al bando le app cinesi, lavorando a una rete 5G, a nuovi cellulari che non abbiano nulla di cinese all’interno. Ormai solo i Paesi in via di sviluppo, come nel Sud Est Asiatico o nell’Africa subsahariana, affidano per intero la loro infrastruttura di rete ai cinesi. Non ci sono vie di mezzo.

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Cina o Usa? Tertium non datur. Bremmer spiega il bivio del 5G

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