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La chiamano tecnofobia. La paura che il progresso più che migliorare la vita, alla fine la distrugga. Macchine al posto degli operai, computer invece di cervelli. E migliaia di posti di lavoro in fumo. Addio vecchia manodopera, largo agli automi. Non tutti la pensano così fortunatamente, c’è chi come Marco Bentivogli, sindacalista e leader dei metalmeccanici Cisl, dice che della tecnologia non bisogna aver paura, anzi. Abbracciare l’innovazione significa guadagnarci tutti, basta solo usare la testa.

Convinzioni profonde confluite nel volume Contrordine compagni, manuale di riscossa alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia (Rizzoli), presentato ieri sera presso la Galleria Alberto Sordi di Roma. Insieme a Bentivogli, sul piccolo palco davanti alla libreria Feltrinelli, l’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che proprio con Bentivogli ha firmato il Manifesto per l’industria 4.0, e l’ex parlamentare FdI e presidente Aiad (associazione delle imprese della Difesa), Guido Crosetto. Il punto di caduta è stato indicato proprio dallo stesso Calenda. La tecnologia può essere amica o nemica, tutto dipende dal grado di educazione e preparazione di chi la maneggia.

“Nei prossimi 30 anni le persone dovranno avere la capacità di adattarsi a procedimenti che oggi ci sembrano veloci come la luce. Serve un investimento gigantesco in termini di educazione. Perché la vera sfida è portare il Paese alla velocità del progresso: se si corre a quella velocità la tecnologia non può che migliorare le nostre vite, ma se invece si va un po’ più piano allora la rivoluzione tecnologica che nel mondo corre, anche senza di noi, ci travolge e fa danni”. Il ragionamento di Calenda è semplice. Tecnologia sì ma a patto che le persone inizino a pensare e ad agire in termini tecnlogici. Possibile. Forse, diciamo che vale la pena rischiare.

Il perché lo spiega lo stesso Bentivogli in un passaggio del libro. “A una visione tecnofobica, a chi sostiene che l’innovazione semplicemente cancellerà occupazione, opponiamo un modello in cui l’uomo si libera nel lavoro, riducendo la fatica e limitando le mansioni ripetitive e alienanti, allargando gli spazi in cui mettere in campo la propria intelligenza e fantasia”, spiega Bentivogli. “Le macchine, insomma, non distruggeranno soltanto, ma miglioreranno il lavoro e, ne parleremo nel dettaglio, ne creeranno di nuovo. Se accantoniamo per un attimo tutte le opinioni in merito, se vogliamo ragionare in modo empirico su quanto sta accadendo e sul suo impatto, noteremo che il nostro sistema industriale è sempre andato a più velocità: oggi è evidente che le aziende che faticano, che non investono e licenziano, sono proprio quelle più lontane dall’innovazione”.

Secondo Bentivogli la società italiana è dominata dalla paura della tecnologia e questo dà vita a forme di psicosi collettiva. “Trovo francamente assurdo avere paura di qualcosa che non si conosce”, ha chiarito il segretario Fim Cisl parlando alla platea della Galleria. “La tecnologia porta con sé i vantaggi di chi la progetta, di chi la propone. Siamo dinnanzi a un dibattito, quello tecnologico, che non è né di destra né di sinistra, è un dibattito di cultura. Quello che voglio spiegare nel libro è questo: oggi non esiste davvero nessun motivo vero e concreto per avere paura della tecnologia. La vera missione oggi di chi ci governa non è terrorizzarci con lo spettro della devastazione umana per mano delle macchine, bensì quello di spiegarci che del progresso non bisogna avere paura. In questo ho trovato un modello in Angela Merkel che in Germania ha investito 5 miliardi nella digitalizzazione delle scuole”.

Bentivogli cita in questo senso l’esempio delle grandi delocalizzazioni. “Negli anni Novanta, quando non c’era ancora l’euro, molte aziende hanno spostato la produzione perché in Italia si era smesso di investire in tecnologia. Questo è il vero motivo”. D’altronde, citando un altro passaggio del volume, “una fabbrica funziona se ci sono addetti con la professionalità adeguata, ma soprattutto se intorno vi è, appunto, un ecosistema intelligente. È questo contesto che consente di riportare la manifattura al centro, e l’Industry 4.0 è l’occasione – l’ultima – per raggiungere l’obiettivo, con buona pace di chi parla di dematerializzazione dell’economia”. E poi, “lo volete sapere? Un saldatore che passa 40 anni a respirare certe emissioni ha una speranza di vita di 60 anni, in un Paese, l’Italia, che ne ha 84. Se nella fabbrica arriva una macchina nuova, che migliora le condizioni di lavoro, qualcuno fuori dalla fabbrica penserà male. Ma vi assicuro che gli operai dentro sono contenti”.

Forse alla fine ha ragione Crosetto, quando riporta il discorso sul piano culturale. “Se un Paese non fa investimenti non ha speranza, il sovranismo è nato proprio da questo, dalla paura che gli altri ci rubino lavoro e produzione. Il che accade perché gli altri progrediscono e noi no. Un esempio su tutti: noi in Italia abbiamo inventato il pc, a Ivrea (Olivetti, ndr). E oggi in Italia non abbiamo un’azienda che produce computer. Pazzesco no?”

Tecnologia per vivere (tutti) meglio. Istruzioni per l'uso firmate Bentivogli

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