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Con l’inizio della legislatura, che questa volta coincide con l’avvio del ciclo di programmazione economica e finanziaria e di bilancio, si torna a parlare di pensioni in essere e future come area su cui focalizzare per trovare risorse. Dal 1992 ad oggi sono state fatte circa 22 riforme del sistema previdenziale; nessun Paese può reggere ad una tale frequenza di riforme (ciascuna con il nome del ministro che dice di averla concepita) perché ne consegue incertezza che ha un effetto negativo sui comportamenti di tutti gli agenti economici e, quindi, sulla produttività.

Ci può essere qualche settore specifico, come “i vitalizi” dei parlamentari, ma anche in questo caso occorre muoversi con cautela per non prendere misure retroattive che potrebbero essere contrarie alla Costituzione. Ci sono indubbiamente provvedimenti, come la cosiddetta “Legge Fornero”, che richiedono un affinamento in quanto varata frettolosamente ha comportato risultati discutibili, e tali da non essere in vigore in nessun Paese Ocse. Molti problemi potrebbero essere risolti separando nettamente assistenza da previdenza, come fa il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali : ci si accorgerebbe che la spesa previdenziale in senso stretto è sotto al 14% del Pil, quindi inferiore alla media dell’Unione Europea, mentre la spesa sociale è una vasta area che richiede razionalizzazione e riordino da cui potrebbe sorgere economie.

Tuttavia, i nostri titoli di stato sono classificati BBB (rispetto allo AAA di quelli tedeschi e allo AA di quelli francesi) e sono molto soggetti agli umori dei mercati. Piuttosto che della previdenza occorre preoccuparsi di altri aspetti, più immediati, dei conti pubblici. Sono di queste ore le notizie degli avvertimenti di Eurostat in materia di contabilizzazione degli interventi per tenere a galla le banche venete; da soli portano il deficit 2017 sopra il 2% del Pll e lo stock di debito (sempre 2017) al 132% del Pil e dimostrano che la scorsa legislatura non è stata all’insegna del miglioramento ma del peggioramento dei conti pubblici.

Azzardato fare ipotesi per l’esercizio 2008 in corso. Un paio di settimane fa, la Commissione europea ha avvertito che per restare nell’ambito degli obiettivi concordati con Bruxelles , occorre fare subito una manovra di 5 miliardi di euro poiché più tempo passa nell’anno finanziario più cresce il disavanzo. A questa manovra, si dovrebbe aggiungere, per sterilizzare gli aumenti dell’Iva, delle clausole di salvaguardia, nonché prendere misure precauzionali in materia di servizio del debito, dato che è in atto un rialzo dei tassi d’interesse. Il Sole 24 Ore, un quotidiano che non è stato all’opposizione dei Governo Renzi e Gentiloni, ha calcolato in ben 30 miliardi l’aggiustamento da fare nel triennio 2018-2020, un’ipoteca pesante per chiunque assuma responsabilità di governo.

Cosa suggerire? Un rigorosa spending review secondo le procedure in atto negli Stati Uniti dalla prima Amministrazione Reagan e da allora solo ritoccate e aggiornate, e un piano straordinario per la riduzione del debito. Chi andrà a Palazzo Chigi e a Via Venti Settembre, infatti, non potrà chiedere il beneficio d’inventario.

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