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Amos Hochstein, inviato speciale della Casa Bianca per il file israelo-libanese, torna nella regione per una missione cruciale che avrà inizio lunedì in Israele. Quale spazio di manovra esista per Hochstein è difficile dirlo, la guerra di attrito tra Hezbollah e Israele si fa sempre più pesante; si potrà seguitare così?

Dunque è un viaggio difficile, qualeper evitare la temuta escalation. Delle molte cose che si scrivono da tempo al suo riguardo sul difficilissimo versante libanese della sua missione una colpisce in particolare: per trattare serve un governo, ma quello libanese è in carica per il disbrigo degli affari correnti dal 2022, il Presidente della Repubblica non c’è. Dunque? Dalle cronache dei mesi passati emerge l’importanza attribuita da tutti ai colloqui lunghi e approfonditi che Hochstein ha ogni volta che arriva a Beirut con il presidente della Camera. E che c’entra il presidente della Camera con questi discorsi? C’entra, ma non per la presidenza della Camera, per il suo ruolo di interprete fedele e alleato indiscutibile di Hezbollah. Quando va a Beirut Hochstein i ministri li vede, ma pochi prestano loro attenzione. Chi si scruta è il presidente della Camera, Berri, l’amico di chi conta a Beirut, Hezbollah. Non certo il premier Miqati.

Il Libano è il più chiaro esempio di Stato quasi-fallito che serve però come strumento per aggirare le sanzioni internazionali all’Iran che ha bisogno di circuiti finanziari attraverso i quali operare e per questo da loro saldamente controllato tramite la sola milizia in armi, Hezbollah. Un esito drammatico a cui hanno contribuito alcuni gruppi cristiani che per gestire il potere presidenziale – appannaggio dei maroniti – si sono messi d’accordo con Hezbollah nel corso degli anni passati, attuandone i desiderata. Le colpe del baratro e comico in cui è sprofondato questo Paese sono anche degli altri attori libanesi, ovviamente, il fallimento della politica è quasi totale. E la bancarotta in cui versa il Libano è responsabilità condivisa. Impossibile dire che ci siano da una parte i buoni e dall’altra i venduti. Anche perché le operazioni più onerose per il Libano sono state gestite da governi di unità nazionale, magari sotto la guida di chi oggi si oppone a Hezbollah. Ma i numerosi file interni oggi dimostrano la “primazia” conquistata sul campo da Hezbollah.

Il primo e più clamoroso esempio è la misteriosa esplosione del porto di Beirut, che nel portare il Paese alla bancarotta ci ha messo non poco. Era il 4 agosto 2020 quando un fungo “para-atomico” si portò via tutto il porto commerciale e interi quartieri, resi inagibili dall’esplosione. Cosa è successo per l’accertamento delle responsabilità da allora? Chi aveva nascosto tonnellate di nitrato d’ammonio nel porto commerciale? Il porto, sotto il controllo miliziano di Hezbollah come l’aeroporto, non è asset da poco per un Paese come il Libano. Ma i governi libanesi si sono attivati solo per contrastare i magistrati inquirenti, mai i grandi indagati, che poi erano alcuni ministri. E ora, dopo 4 anni, di indagini neanche più se ne parla. Tutto rimosso, inchiesta azzerata, familiari delle vittime apertamente minacciati.

Altro esempio clamoroso è la questione che rischia di portare il Libano a un’altra esplosione; la presenza massiccia di profughi siriani. Il file viene gestito soltanto in due modi: servire l’interesse di Damasco, alleato indiscutibile di Hezbollah, e farne  un capro espiatorio che nasconda agli occhi della popolazione le malefatte di un sistema politico fallito e rapace.

È chiaro che i siriani siano malvisti in un Paese che fino al 2019 è stato affluente e poi è stato trascinato nel baratro della bancarotta. Oggi i libanesi sono poveri, o per meglio dire molti di loro sono impoveriti, ed è difficile immaginare solidarietà con i profughi siriani. Tantissimi sono precipitati nella povertà estrema. Ma è sui profughi siriani che il sistema riversa tutte le colpe. Il crimine organizzato, assai diffuso soprattutto per i traffici illegali con la Siria, è molto potente e può facilmente assorbire molti siriani affamati. Ma il problema è chi ha rafforzato in tutto il Paese le reti diffuse e potenti del crimine organizzato, non la manovalanza (in parte siriana).

Poi accade però che il regime di Assad avrebbe ordinato l’esecuzione di un dirigente politico del partito anti-siriano di matrice cristiana, Pascal Sleiman, e che la colpa sia data a dei presunti ladri d’auto di origini siriane, che per derubarlo della sua automobile gli sarebbero andati a tendere un agguato in montagna, uccidendolo. Dinamica risibile. Ma è questa la versione ufficiale fornita dal sistema: impossibile mettere in piazza quella che a quasi tutti appare come la verità. I profughi siriani sono di due tipi: gli agenti di Assad, che vengono e vanno, e quelli deportati dalla Siria, circa un milione e mezzo, che vengono ritenuti rei di ogni male, ma nessuno più ricorda perché sono lì, chi li abbia cacciati dalle loro case. Sostituire i secondi ai primi è un gioco da ragazzi, ma la differenza è enorme. È Assad che destabilizza il Libano per i suoi fini, non le sue vittime che si arrangiano al più con lavori da schiavi o furti d’auto, ma in città, non in cima alle montagne.

Così quando l’Europa ha donato al Libano un miliardo per tre anni con il vincolo di usarli anche per pattugliare i mari ed evitare migrazioni clandestine, il sistema si è unito in urla contro l’Europa, che rifiuta il suo ok al rimpatrio forzato dei profughi. Così ora tutto il sistema si unisce nel chiedere che i profughi vengano forzatamente rimpatriati, ipotesi che l’Europa non può sostenere, finendo sul banco degli imputati nonostante la portata del dono. Ma se il sistema riconoscesse le vere cause della presenza siriana andrebbe contro gli interessi del “grande protettore”, con il quale i traffici illegali fioriscono a ritmo vorticoso. Soprattutto, ovviamente, armi e droga. Assad, per la precisione suo fratello Maher, è il principale produttore mondiale della droga sintetica captagon.

Interessante la posizione assunta al riguardo dei profughi siriani da Hezbollah. Nasrallah al riguardo ha detto che il Libano dovrebbe favorirne l’emigrazione clandestina verso l’Europa. Questo sarebbe il solo modo per essere autorizzati da Bruxelles a rimandare i profughi in patria, anche se il loro consenso mai ci sarà, sapendo la sorte che li aspetterebbe. L’obiettivo di Nasrallah ovviamente è un altro: favorire il suo amico damasceno a ottenere sostegni finanziari europei e il ristabilimento di relazioni diplomatiche tra Europa e Damasco in cambio del suo prezioso sì al rientro dei profughi, che poi farebbero comunque una bruttissima fine.

È difficile dire quali margini abbia l’inviato di Joe Biden nella sua missione ormai alle porte. Eppure se il Libano tornasse ad esistere, cambierebbe non poco per tutto il mondo arabo. Paese fragilissimo, ha avuto e potrebbe riavere una vera borghesia, visto che conserva un’intellettualità araba vivace e laica, una spiccata capacità commerciale, un terziario che fino a pochi anni fa era avanzato, una stampa libera che fa invidia (o paura) a Paesi assai più influenti. Il ritorno di un Libano davvero sovrano e plurale, cioè non sottoposto a disegni stranieri, riavvierebbe rapidamente un sistema scolastico che è stato per lustri l’università del sapere arabo, cristiano e musulmano. È un sogno difficile, ma il ritorno in vita del Libano sarebbe la vera opportunità per il dialogo euro-mediterraneo, visto che senza Beirut il Libano non esiste, e Beirut esiste soltanto come città araba, mediterranea, europea e modernizzata; quale, nonostante tanti problemi, rimane.

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