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Chi crede che la Casa Bianca e la Santa Sede non siano mai state così lontane non deve far altro che aprire un libro di storia. O farsi raccontare da Jim Nicholson, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede dal 2001 al 2005, cosa significa provare a convincere papa Giovanni Paolo II della bontà di una guerra in Iraq. “Ovviamente la pensava diversamente, ma fra lui e George Bush è sempre rimasto un rapporto di profonda stima reciproca” racconta l’ex diplomatico a Formiche.net. A dire il vero Nicholson è molto più di un ex diplomatico. Eroe di guerra in Vietnam, è stato uno dei più influenti presidenti del Partito Repubblicano e in quella veste ha lanciato con successo la corsa di Bush Jr verso lo Studio Ovale. Ricompensato con la responsabilità della delicata missione all’ombra di San Pietro, poi con la carica di segretario degli Affari veterani, ha abbandonato la carriera diplomatica ma non ha mai smesso di seguire da vicino le maree che agitano la barca petrina. La visita in Vaticano del segretario di Stato americano Mike Pompeo, ci spiega, può porre basi solide per un dialogo fra Donald Trump e papa Francesco. E scrivere una nuova pagina dei rapporti fra “la più grande potenza temporale e la più grande potenza spirituale al mondo”.

Pompeo in Vaticano dopo tre anni di incomprensioni e divergenze fra Casa Bianca e Santa Sede. C’è spazio per il dialogo?

Sono molti di più i temi su cui c’è accordo rispetto a quelli su cui non c’è sintonia. Il grande comun denominatore fra Stati Uniti e Santa Sede oggi è la battaglia per la libertà religiosa, di pensiero, associazione, movimento. C’è un allineamento pressoché totale sui diritti inalienabili e la dignità della vita.

Perché è importante questa visita?

È fondamentale che i rapporti bilaterali rimangano in ottimo stato. Il Paese con il più grande potere temporale e quello con il più grande potere spirituale al mondo, il più grande e il più piccolo. Insieme creano massa critica e si ergono a difesa della vita umana. A volte due più due non fa quattro e questo è uno di quei casi. Milioni di persone soffrono oggi sotto il dominio di regimi autoritari che sopprimono la libertà di culto. Stati Uniti e Vaticano sono due voci potenti e sonore a difesa di questa libertà.

È innegabile che fra l’amministrazione Trump e il pontificato di Francesco ci siano delle distanze, alcune apparentemente incolmabili.

Nulla che possa minare i rapporti. I disaccordi sono sempre esistiti. Quando ero ambasciatore presso la Santa Sede non facevo mistero di sostenere l’intervento in Afghanistan e in Iraq pur sapendo che il pontefice la pensava diversamente. Sono stato un grande sostenitore del presidente Bush che, nonostante queste divergenze, ha fatto visita a papa Giovanni Paolo II ben tre volte e nutriva per lui un enorme rispetto. Il papa è sempre un grande megafono morale e gli Stati Uniti ne sono consapevoli. Quando il papa parla, il mondo ascolta.

In politica estera raramente le due parti hanno concordato un’azione comune. Dal Sud America al Medio Oriente alla Cina.

La geopolitica è un terreno particolarmente scivoloso. Se le due parti condividono i valori fondamentali dell’uomo non c’è sfida che non si possa superare. In Africa la sinergia fra Stati Uniti e Chiesa Cattolica ha dato già tanti frutti, penso alle campagne per debellare l’Aids grazie all’aiuto di centinaia di ong. Le partnership di successo non si contano. Ho avuto modo di seguire dalla nascita alcune di queste, specialmente nella lotta al traffico di esseri umani.

L’immigrazione è un tema particolarmente divisivo. Francesco vuole buttar già i muri, Trump li costruisce.

Il papa ha il sacrosanto diritto di assumere una posizione morale su questo tema, perché deve avere a cuore ogni essere umano. Questo ovviamente vale anche per gli Stati Uniti. La difesa della dignità umana è nel preambolo della nostra Costituzione, nel nostro sistema, nel nostro sangue. Ogni persona deve essere rispettata ed ha dignità in quanto creata da Dio.

Quindi?

Quindi ciò non vuol dire che non abbiamo il diritto e in alcuni casi il dovere di controllare i nostri confini. Siamo un Paese sovrano, dobbiamo difenderlo senza mai venir meno alla sensibilità e alla carità verso le persone più deboli.

La questione cinese è centrale nei colloqui in corso. Qui davvero Trump e Francesco hanno imboccato due strade opposte.

La Cina è uno dei più grandi ostacoli alla libertà di culto, associazione, libero pensiero. Un regime autoritario, brutale e fondato sul controllo. Personalmente sono dispiaciuto che il papa abbia voluto fare delle concessioni al governo cinese, permettendo alla chiesa governativa di ordinare i vescovi.

Ecco un altro nodo da sciogliere per rinsaldare i rapporti: la battaglia ecologica. Papa Francesco ne ha fatto un pilastro del suo pontificato. Trump invece sembra indifferente se non ostile alla causa.

Scambiare opinioni e vedute è sempre un bene. Il cambiamento climatico è un tema da affrontare seriamente, senza partigianerie. Bisogna però essere consapevoli che non tutta la comunità scientifica si è univocamente espressa a riguardo, non esiste una “scienza incontestata” su questi temi. Per di più si deve valutare con molta attenzione l’adozione di politiche e strategie economiche draconiane che fanno perdere posti di lavoro, contraggono l’economia e impattano negativamente sulla vita quotidiana delle persone.

Il Dipartimento di Stato da tempo investe ingenti risorse per promuovere campagne a difesa della libertà religiosa. Una concessione all’elettorato cattolico di Trump o c’è di più?

È un diritto fondamentale, incastonato nel primo emendamento. Un valore inalienabile non solo per i cittadini americani ma per tutti gli esseri umani. Centinaia di milioni di persone purtroppo non possono goderne. È un bene dunque che Santa Sede e Stati Uniti siano in prima linea per la libertà religiosa. E una buona notizia l’istituzione da parte di Pompeo di una commissione sui diritti inalienabili presieduta dalla mia collega ambasciatrice Mary Ann Glendon, una delle persone più talentuose d’America.

Trump e Francesco, il dialogo è possibile. Parola di Jim Nicholson

Chi crede che la Casa Bianca e la Santa Sede non siano mai state così lontane non deve far altro che aprire un libro di storia. O farsi raccontare da Jim Nicholson, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede dal 2001 al 2005, cosa significa provare a convincere papa Giovanni Paolo II della bontà di una guerra in Iraq.…

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